
Premettiamo che della Rai non ci importa granché visto che ormai non è più in grado di entrare nel focolare domestico ad irretire il pubblico, adesso più incline a farsi fottere con notizie spazzatura e propaganda attingendo dal web.
Inoltre la storia ci insegna che, al mutare dei Consigli di amministrazione, dei presidenti, dei direttori generali, in Rai non cambia mai nulla perché sono sempre gli stessi burocrati, gli stessi gruppi di potere e le stesse consorterie a farla da padrone. Lo dimostra Rai Tre, al secolo “TeleKabul”, la quale ha attraversato tre repubbliche restando imperituro e fedele house organ della sinistra. Come sia stato possibile un simile miracolo è ampiamente intuibile. E aggiungiamo anche che non condividiamo il nuovo (nuovo?) corso di Forza Italia, movimento ove si pensa ancora di poter rinnovare la tappezzeria affidando la selezione della classe dirigente ai casting di Silvio Berlusconi, il quale si illude di aver fatto la rivoluzione con i “volti freschi e nuovi” di Antonio Tajani e Adriano Galliani. Berlusconi è stato uno che ha fatto la storia (non foss’altro perché ha purgato per vent’anni la sinistra), ma adesso è stanco e visibilmente appannato. Per amor proprio dovrebbe passare la mano non cedendo alle lusinghe di qualche lecchino interessato che gli dice “resta perché sei un giovanotto” o di qualche groupie sculettante che non si rassegna a smettere di cantare “meno male che Silvio c’è” per il sol gusto di tifare con ostinazione e senza consapevolezza. Qui il problema reale non sono le antenne di viale Mazzini, ma ciò che si cela dietro al pasticcio scoppiato nel centrodestra intorno alla nomina del bravo Marcello Foa alla Presidenza della Rai.
Qualcuno finge di non capire quale sia la posta in palio e attribuisce a un cavillo, a un capriccio di Berlusconi le divaricazioni sorte in merito al rinnovo delle cariche nella tivù pubblica attribuendo al Cavaliere, politicamente moribondo, la responsabilità di far saltare in aria il centrodestra. In realtà è tutto il contrario: è proprio sulla Rai che Matteo Salvini, mettendo il Cavaliere di fronte al fatto compiuto, avrebbe voluto consumare la cannibalizzazione dell’alleato facendolo piombare in un cono di ombra e di subalternità che ne avrebbe certificato la morte (che tuttavia viene solo tenuta nascosta). Salvini ha in mente un nuovo disegno di centrodestra che, piaccia o meno, non prevede la presenza di Forza Italia, troppo poco nazionalista, troppo europeista, per nulla identitaria e fin troppo legata al vecchio blocco di potere sedicente moderato. Per questo l’ha messa all’angolo dipingendola come un ammennicolo del Partito Democratico, un rifugio per vecchie carampane spiaggiate che non si rassegnano a passare la mano e che farebbero patti pure con l’odiato Matteo Renzi se solo questo servisse a farle vivere un giorno in più.
Condivisibile o meno, questo è il disegno salviniano (fino ad ora ben riuscito data la transumanza di quadri e dirigenti azzurri) cui legittimamente Forza Italia si oppone tentando di attribuire al leader leghista la liquefazione del centrodestra, reo di aver fatto un patto organico con i Pentastar e di preferire la concertazione con questi ultimi piuttosto che decidere con la coalizione dalla quale si pone fuori per atti concludenti. Forza Italia ha in mente il vecchio modello di centrodestra e prova ad attaccarsi con le unghie e con i denti alla sua idea canonica, cercando nel contempo di lucrare sul tradimento dell’alleato accusandolo di aver cambiato campo. Al netto di Marcello Foa e della Rai, il problema è più vasto perché nella geografia politica italiana abbiamo ormai due ipotesi di centrodestra: uno marginale e gerontofilo, mentre l’altro è giovanilista oltre che tragicamente affine al grillismo (cosa innaturale).
Ciò lascia presagire solo una fine ingloriosa di una intera area politica pronta a cannibalizzarsi e a terminare la sua esistenza in diaspora. I patiti di “Mamma Rai” ci scuseranno ma il problema è molto più vasto di quattro scranni in un Cda.
Aggiornato il 03 agosto 2018 alle ore 12:06