
Nella giustizia italiana ci sono numerosi problemi. Ma una volta letto il programma dell’attuale ministro Alfonso Bonafede viene il sospetto che le cose potrebbero addirittura peggiorare. Andiamo con ordine.
1) Il Daspo, cioè l’impossibilità per il corrotto − giudicato tale con sentenza definitiva dopo i tre gradi di giudizio − di stipulare contratti con la Pubblica amministrazione, è di poco rilievo e, di fatto, ininfluente dato che la pubblica amministrazione italiana richiede già l’autodichiarazione del professionista contraente, il quale, prima di lavorare, deve dimostrare di avere le carte in regola. Quando la pubblica accusa si trovi di fronte a dichiarazione di corruzione con sentenza passata in giudicato o riscontri (farà pure taluni riscontri rigorosi o no?) falsità o “disallineamenti” nella dichiarazione medesima, non stipula, non contratta già da sé. Non c’è dunque un impellente bisogno del Daspo. Le regole già esistono, vanno applicate cioè, senza necessariamente aspettare il Daspo.
2) L’agente sotto copertura. Diversamente dall’agente provocatore, quello sotto copertura non provoca i reati ma li scopre da infiltrato nascosto tra chi li commette. Anche l’eventuale istituzione dell’agente sotto copertura creerà una situazione difficile e complicata in cui sarà arduo, all’interno del processo, distinguere chi sia l’agente e chi il corrotto o delinquente, e viceversa. Ai fini del funzionamento della giustizia, tale strumento è destinato a creare verosimilmente danni, sinceramente un allungamento dei tempi, già biblici, procedurali di giustizia. Il corrotto dichiarerà di essere l’agente sotto copertura al processo, e viceversa. I processi diventeranno ancora più lunghi e irrisolti. Il problema della lotta alla corruzione in Italia si risolve con gli strumenti già esistenti, facendoli funzionare. E tra questi strumenti rientra anche l’efficienza dei giudici. Il “cavallo di battaglia” del grillismo, cui appartiene l’attuale ministro di Giustizia Alfonso Bonafede è l’essere giustizialista senza saperlo, forse non volendolo neanche essere, pur essendolo. Il grillismo non ha ancora provato l’esserci trascinato dentro a forza, e, non avendolo provato, in realtà non sa bene di cosa si tratti. Il must che discende dal giustizialismo è la legittima difesa.
3) La legittima difesa per il grillismo non è totalmente legittima. In base a quanto riferito nell’intervista al ministro Bonafede, niente verrà (verrebbe) archiviato ma si celebrerà un processo a tale riguardo “solo quando si deve celebrare”. Non si sa bene quando. Bonafede ci ha comunque detto che non si attraverserà “il calvario dei tre gradi di giudizio”. Escluse, tuttavia, le archiviazioni, davvero non si sa di quale tipo di processo parli dato che quello vigente è proprio quello che prevede i tre gradi di giudizio.
4) La riforma penitenziaria. Bonafede ha accusato il precedente governo di avere tolto dolosamente la “svuota carceri”. Però dice di non volerla di fatto riproporre. Dunque, nessuna “svuota carceri”, tranne che, forse, per minori e nel caso di lavoro per i detenuti. Sembra non voglia neanche troppe pene alternative. Insomma, galera in prigioni (a quanto ha affermato) moderne e più capaci. Nel senso che i posti aumenteranno fino “a livello ottimale”. Bonafede ci promette di andare a parlare di giustizia nelle scuole, oltre che nei tribunali e nelle carceri “per dare un’idea diversa della giustizia”. Gli italiani preferirebbero vedere le riforme piuttosto che l’ennesimo ministro in passerella.
5) I detenuti stranieri rimarranno in Italia, con Bonafede. Perché nei loro Paesi d’origine, ha detto il ministro, “è un inferno”. In realtà, gli italiani li vogliono mandare proprio là, a casa loro, a godersi il trattamento inumano delle loro carceri, e proprio perché sono un inferno. L’effetto deterrente sarebbe garantito. Il ministro pare stia, comunque, lavorando con la Romania, che, come è arcinoto, non solo è il Paese che rifornisce del maggior numero di delinquenti l’Italia, ma è anche il Paese che, negando tale evidenza, fa di tutto per non riprenderseli. Gli italiani si sarebbero augurati un ministro più decisionista e di polso, per rimandare i delinquenti stranieri a casa loro.
6) Sugli immigrati che intasano ogni giorno da anni i tribunali d’Italia, Bonafede addirittura non vede il problema. Ci teniamo anche quelli. Con la giustificazione del mancato diritto d’asilo e di una legislazione che, all’evidenza, non funziona e prende per i fondelli tutti gli italiani, gli avvocati, i quali speculano sul cosiddetto gratuito patrocinio che è al contrario a spese delle tasche di noi tutti italiani, sono per Bonafede persone che adempiono il proprio mestiere. Non vedendo così che il problema è il procedimento giudiziale sbagliato. Non (solo) gli avvocati che di quello approfittano economicamente. Il politico deve dare soluzioni e risolvere situazioni di crisi come è nei fatti la giustizia italiana, egli non è affatto il certificatore della situazione disastrosa in atto.
7) Il blocco della prescrizione ed il conseguente intasamento − ulteriore − dei tribunali. Il ministro grillino, a tale proposito, promette di ristrutturare i tribunali. E, quindi, non si sa in base a quale consequenzialità, i procedimenti non dovrebbero creare più problemi di sorta. Qual è il nesso? Non c’è! Servirebbe, invece, una legge che stabilisca l’impossibilità del ricorso in appello da parte della procura in caso di assoluzione, non accontentandosi, come ha affermato Bonafede, dell’impossibilità della “Reformatio in peius”. Il ministro grillino ha anche detto che i giudici italiani lavorano tantissimo e benissimo (sono così bravi ed efficienti da chiudere gli uffici pubblici, a differenza di tutti gli altri professionisti, già all’ora di pranzo, e, sempre a differenza di ogni altro professionista, non sono tenuti a rispondere di niente riguardo a ciò che fanno, essi sono totalmente irresponsabili) e che a Bari non si è accorto di avere messo il tribunale in un edificio di proprietà di un amico di un clan mafioso, cosa su cui si sta tuttora indagando. Sulle intercettazioni ha anche detto che, per una probabile coincidenza ha ipotizzato che vi sia un nesso tra le norme sulle intercettazioni e la Consip di Renzi (sic!). È probabile che, dovendo tornare a fare l’avvocato per il limite grillino sul doppio mandato − sacrosanto ma sovente, al momento giusto, inosservato − l’attuale ministro della Giustizia si è tenuto cheto. Così facendo non sta facendo affatto né l’interesse né il bene del nostro Paese. All’Italia servono riforme radicali, perché la giustizia italiana − ed i giudici italiani − possano iniziare a “funzionare”.
Aggiornato il 02 agosto 2018 alle ore 18:47