
Ormai anche l’uomo della strada sa che Finmeccanica ed Eni rappresentano le vere diplomazie italiane nel mondo: i dirigenti delle due aziende trattano con Usa e Russia, con emiri e sultani, con satrapi e campioni di democrazia. Ma nella Vecchia Europa c’è chi, prima dell’Italia (e anche di altre nazioni), ha inventato questa metodica diplomatica, assai utile ai commerci, allo sviluppo economico del Paese, al controllo finanziario delle proprie ex colonie. Da questi pochi dati avrete capito che s’allude alla Francia, che ieri tramite la Elf e oggi con la Total continua ad influenzare la politica nelle proprie ex colonie: e non parliamo del commercio internazionale delle armi, che vede i francesi diretti concorrenti delle aziende italiane (soprattutto nel Corno d’Africa). Non paga di gestire i propri ex territori d’oltremare, la Francia durante l’amministrazione Sarkozy ha attaccato la Libia per disarcionare Gheddafi e prenderne il controllo: adduceva la scusa della difesa dei diritti umani, ma il suo vero obiettivo era scalzare l’Italia (l’Eni) dalla gestione del petrolio libico.
Il cambio di guardia
In questi giorni l’imperatore Donald Trump ha insignito il premier italiano Giuseppe Conte del rango di nuovo “governatore” della Libia (ovviamente si calcano le tinte): mossa che ha solo apparentemente scalzato Emmanuel Macron da quel territorio. Anzi, la designazione “trumpiana” di Conte somiglia tanto al feudo in Terra Santa che le dinastie del “Sacro Romano Impero” erano solite promettere ai nobili decaduti. In genere la partenza avveniva dai porti italiani, e una volta in Terra Santa s’accorgevano che “mille turcomanni perigli” (per dirla alla Monicelli in Brancaleone) non permettevano il pieno godimento del diritto di feudatario.
Infatti la Francia, dopo aver scalzato l’Italia e stracciato tutti i contratti in essere dell’Eni, ha impiantato nelle aree petrolifere stazioni d’estrazione sotto l’egida del gruppo “TotaFinaElf”. La “Total SA” è una compagnia petrolifera esclusivamente a capitale francese e, rigorosamente, con sede a Parigi: una delle prime quattro aziende mondiali operanti nel petrolio e gas naturale (ha come dirette concorrenti Royal Dutch Shell, Bp ed ExxonMobil). La Total, dopo aver acquistato la belga Petrofina nel 1999, aveva cambiato il proprio nome in Total Fina: l’azienda sta particolarmente a cuore al presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, che naturalmente parteggia perché il petrolio libico resti saldamente in mani francesi. Nel 2007 la Total è stata messa sotto accusa per presunti reati di “complicità in crimini contro l’umanità” commessi in Birmania: ma la Corte europea l’ha prosciolta, e in Birmania la Total rappresenta la principale compagnia petrolifera (nonostante le sanzioni imposte dall’Unione europea contro la giunta militare che regge il governo birmano). La Total è stata anche accusata di sfruttamento della manodopera locale nella costruzioni dei gasdotti, ma tutte le accuse sono cadute davanti alla corte di Strasburgo, dove tutti parlano francese.
Nel 2008, l’amministratore delegato di Total E&P Italia S.p.A. Lionel Levha ed altri dipendenti Total vengono arrestati nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per l’estrazione di petrolio in Basilicata: ipotizzati i reati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta, con riferimento specifico agli appalti dei lavori per estrazioni petrolifere. Nel 2009 tutto finisce nel dimenticatoio. Tra gli azionisti della Total, oltre alla Company-owned shares (4,60%) ed alla Groupe Bruxelles Lambert (4 per cento), figura la Bnp Paribas, banca che qualche tempo fa aveva acquistato la nostra Bnl (la storica Banca nazionale del Lavoro, che era una banca di stato italiana). Con il lancio dell’operazione Barkhane nel Sahel (siamo nel 2014) e la creazione delle forze francesi in Costa d’Avorio (Ffci a gennaio 2014), la Francia ha confermato la propria presenza militare in Africa: l’esercito francese è il primo per spese militari in Europa, è uno dei più presenti all’estero, soprattutto nei Paesi africani francofoni, in cui dispiega circa diecimila unità e su cui la Francia esercita un’influenza molto forte. La Libia era stata definita da Sarkozy una priorità, e rimane tale per Macron.
Neocolonialismo umanitario
Nell’era post-coloniale la Francia ha conservato una rete di importanti basi militari ed ha stretto accordi con le ex-colonie belga di Burundi, Ruanda e Congo. A lungo la base più importante è stata Gibuti, strategica per esercitare influenza anche in Medio Oriente. Nel 2001 però Camp Lemonnier (ex-base della Legione Straniera) è stato ceduto in locazione agli Usa. Le forze francesi stanziate a Dakar (Senegal), Libreville (Gabon) e Bamako (Mali) non si sono occupate solo della sicurezza, ma hanno anche addestramento le forze nazionali e le milizie mercenarie che hanno gestito la guerra nella Libia di Gheddafi: tutti ricorderanno le milizie mercenarie che dal Mali entravano in Libia, ebbene sono state armate e formate dai francesi. Ecco perché i francesi hanno ottenuto di sfruttare il petrolio nel dopo Gheddafi. Rammentiamo al lettore che gli scandali africani, legati alla compagnia petrolifera Elf e alla vendita illecita di armi in Angola (della quale furono accusati personaggi di spicco della politica francese) vennero tutti appositamente dimenticati e fatti dimenticare, aggiustando anche i processi.
Con Sarkozy riprendeva alla grande la “Françafrique”: Sarkò fu il primo a lanciare azioni militari contro la Libia, Paese in cui la Francia ha oggi forti interessi petroliferi. Solo nel 2013 quattromila uomini venivano inviati in Mali (al confine libico) per una delle più grandi azioni militari francesi degli ultimi tempi: non a caso nel 2014 l’allora ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian parlava di “nuovo ruolo forte della Francia nell’Africa occidentale e mediterranea”.
Mali, Niger, Algeria, Chad: in quest’ultimo Paese del Sahel la Francia ha una forte infrastruttura militare, proprio vicino alla Libia. L’Africa è il continente che attira nuovamente l’interesse delle “superpotenze”. Gli Usa sono preoccupati dalla furbizia francese e dall’ingordigia cinese. Cina, India e Turchia stanno espandendo le proprie relazioni politiche e commerciali in Africa, e la Francia sembra sempre più dimostrarsi il grimaldello finanziario di questi paesi. Da qui la scelta obbligata di Trump, rimettere in forze l’Italia, rendendola non più succube in Ue della Francia. Ma per molti non tarderà la reazione di Macron, che nelle sue politiche è supportato da Germania, Belgio e Olanda. In molti si chiedono se il premier Conte riuscirà a non far nuovamente scippare all’Italia il controllo della Libia. Di certo si sa solo che Macron non abbandonerà tanto facilmente il campo.
Aggiornato il 02 agosto 2018 alle ore 10:48