Brexit: un’amara storia infinita

Doveva essere l’incontro del disgelo. Ma le aspettative a volte deludono. Anzi, confermano amare realtà. Così, il face to face tra il nuovo ministro britannico per la Brexit, Dominic Raab e il capo negoziatore dell’Unione europea, Michel Barnier, attestano uno stallo diplomatico che preoccupa tutte le cancellerie europee.

Mentre su sicurezza esterna, cooperazione e riconoscimento dei diritti fondamentali le discussioni hanno raggiunto dei punti fermi, più complicato è il negoziato per le questioni economiche sulle quali difficilmente si troverà un’intesa comune senza strappi irritanti. A suffragare questa tesi è stato lo stesso Barnier dichiarando come “il Regno Unito ha deciso autonomamente di uscire dall’Unione europea e dal mercato unico sapendo chiaramente che le quattro libertà fondamentali che lo costituiscono sono indivisibili e che abbandonare l’unione doganale comporta dei problemi”.

Ma il punto di riflessione (che poi, in sostanza, coincide con l’esito negoziale finale della Brexit) è un altro. Quale sarà il giusto compromesso tra il risultato del referendum britannico e gli inderogabili principi alla base dell’Unione stessa? E poi, per cosa hanno votato veramente i britannici? Per essere fuori dall’Ue ma non dal mercato unico? Oppure, semplicemente, non hanno più condiviso oneri e onori che derivano dalle quattro libertà fondamentali che costituisco tuttora il progetto europeo?

Probabilmente nulla di tutto questo. E lo dimostrano i ripensamenti alla Brexit, un voto dettato allora più da un’emotività monarchica che da una ponderata riflessione euroscettica. L’ascesa in tutta Europa dei partiti populisti, poi, dimostra che non è l’approccio critico di un singolo stato membro verso l’Ue ad essere condannato, bensì l’attuale assetto globale europeo in crisi. L’Unione di oggi non è più intergovernativa, ma non è neppure propriamente federale. È, piuttosto, una grande confusione di materie, funzioni, vincoli, bilanci nazionali e pseudo frontiere comuni che poco hanno a che fare con l’utopistica visione di Robert Schuman di un’Europa unita. Basti ricordare lo sfogo del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker alla fine del 2016 quando affermò con molto coraggio che “bisogna smetterla di parlare degli Stati Uniti d’Europa, la gente non li vuole”.

Ad ogni modo, la posta in gioco sull’impasse Brexit è troppo alta per non tentare qualsiasi mediazione possibile. E Theresa May sembra averlo compreso molto bene. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, a settembre proverà a convincere i leader europei ad imprimere una svolta al negoziato tra Londra e Bruxelles.

Insomma, tutto rimandato al prossimo autunno, termine entro il quale andrà concordata una bozza di trattato per l’uscita dall’Ue. Nel frattempo tocca farsene una ragione, da quel famoso 23 giugno del 2016, giorno in cui la una maggioranza degli elettori britannici ha votato per uscire dall’Unione europea, nulla è più come prima. E il disegno politico di un’Europa comune è forse tramontato per sempre.

Aggiornato il 27 luglio 2018 alle ore 18:07