
I magistrati non possono iscriversi o partecipare in modo “sistematico e continuativo” ai partiti politici: lo ha sancito la Consulta che ha giudicato “non fondate” le questioni di legittimità costituzionale riguardanti l’illecito disciplinare che vieta questo tipo di partecipazione delle toghe alla vita politica, “anche per i magistrati fuori organico che siano stati collocati in aspettativa per motivi elettorali”.
Si tratta di un principio che la Corte costituzionale ha fissato decidendo sulla cosiddetta “vicenda Emiliano”, il governatore della Puglia – che prima di entrare in politica faceva il pm – finito sotto processo disciplinare davanti al Csm proprio per aver violato il divieto per i magistrati di iscriversi a partiti politici e partecipare alle loro attività, anche per essere stato in passato segretario e presidente del Partito Democratico pugliese. La procura generale della Cassazione ha chiesto per lui la condanna all’ammonimento, la sanzione più lieve, ma il processo era stato sospeso in attesa della decisione della Consulta, alla quale si era appellata la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura che aveva sollevato le questioni di costituzionalità del decreto legislativo n. 109 del 2006, di riforma del sistema disciplinare dei magistrati, nella parte in cui stabilisce il divieto anche per quei magistrati che, come Emiliano, sono fuori ruolo, cioè in aspettativa per ragioni elettorali. La disposizione sarebbe illegittima, secondo la Sezione disciplinare del Csm, per contrasto con gli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione. Ciò perché determinerebbe una “irragionevole restrizione della libertà di associazione e di partecipazione al sistema democratico per i magistrati collocati fuori dal ruolo organico – e che quindi non esercitano funzioni giudiziarie – per espletare mandati elettivi, quale quello di sindaco o di presidente della Regione”.
È appunto il caso di Emiliano che da 12 anni è in aspettativa, perché eletto prima sindaco di Bari e poi presidente della Regione Puglia. Si tratta di cariche che non possono essere svolte, secondo Palazzo dei Marescialli, “senza disporre di una maggioranza politica organizzata” e che dunque comportano la partecipazione attiva alla vita politica e quindi all’attività di partito. La Consulta ha però ritenuto “non fondate” le censure. La motivazione della decisione sarà depositata “nelle prossime settimane”, si legge in un comunicato della Corte, dal quale – sottolineano i legali di Emiliano – “non è possibile dedurre contenuti e conseguenze processuali e sostanziali della sentenza”; in particolare, “se da intendersi o meno come applicabile in senso lineare a tutti i magistrati collocati fuori ruolo per lo svolgimento di un mandato elettivo”.
Attacca Forza Italia, con il deputato e coordinatore per Bari e provincia Francesco Paolo Sisto: “Michele Emiliano, con tutto il suo bagaglio di arroganza e di scorrettezza istituzionale, oggi si è fatto bacchettare anche dalla Consulta. Tutto questo, oltre a confermare la necessità di un ragionamento serio sull’attività politica delle toghe, è la riprova dell’inadeguatezza reiterata e continuata del Governatore della Puglia”.
Aggiornato il 05 luglio 2018 alle ore 18:03