
“Un istituto come la prescrizione, che incide sulla punibilità della persona riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nell’ordinamento giuridico italiano rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione con formula di particolare ampiezza”.
Lo dice la Corte costituzionale che oggi, con la sentenza 115, redatta dallo stesso presidente Giorgio Lattanzi, ha chiuso definitivamente la diatriba con l’Europa e il contenzioso con la Cedu, Corte europea dei diritti dell’uomo, per le questioni riguardanti la prescrizione e le frodi comunitarie dell’Iva. E mo’ chi glielo va a dire a La7, a Marco Travaglio e ai grillini che urlano “onestà, onestà”?
La storia era quella iniziata con la sentenza della Cedu del settembre 2015 sul cosiddetto “caso Taricco”. Dal cognome di una persona, Ivo Taricco, che in Italia veniva accusata di aver frodato l’Iva europea, si era vista assolvere per il passaggio dei reati di cui era imputato (per l’appunto frodi fiscali comunitarie) in prescrizione. La Corte europea in quella sentenza, che la Consulta aveva ritenuto di non poter omologare nel Diritto costituzionale italiano, pretendeva che: “Il giudice italiano dovesse disapplicare gli articoli 160, terzo comma, e 161, secondo comma, del Codice penale, omettendo di dichiarare prescritti i reati di frode in danno dell’Unione europea e procedendo nel giudizio penale, in due casi: innanzitutto, secondo una regola che è stata tratta dall’articolo 325, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), quando queste disposizioni, determinando la prescrizione, impediscono di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di gravi casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione; in secondo luogo, in base a una regola desunta dall’articolo 325, paragrafo 2, Tfue (cosiddetto principio di assimilazione), quando il termine di prescrizione, per effetto delle norme indicate, risulta più breve di quello fissato dalla legge nazionale per casi analoghi di frode in danno dello Stato membro”.
Ma, come si accennava, secondo la Corte costituzionale, l’eventuale applicazione della “regola Taricco” nel nostro ordinamento violerebbe gli articoli 25, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione e non potrebbe perciò essere consentita neppure alla luce del primato del diritto dell’Unione. E quindi con la sentenza 24 del 2017 si era rimandata indietro la patata bollente di nuovo alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima accoglieva le obiezioni della Consulta e con sentenza del 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17, relativa ai contenziosi dei signori M.A.S. e M.B., “comprendendo il dubbio prospettato dalla Corte costituzionale, ha riconosciuto che l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare, sulla base della “regola Taricco”, la normativa interna in materia di prescrizione, viene meno quando ciò comporta una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o dell’applicazione retroattiva di una normativa che prevede un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato”.
Oggi il capitolo finale della storia, all’insegna del massimo garantismo e con una rivalutazione quasi filosofica del principio della prescrizione, con buona pace dei programmi di governo di chi vorrebbe farne strame. E, a prescindere dal caso del signor Taricco e da quello dei signori M.A.S. e M.B., e indipendentemente dalla collocazione dei fatti, prima o dopo l’8 settembre 2015, secondo la sentenza 115 della Consulta: “I giudici rimettenti non avrebbero potuto applicare la regola Taricco, perché in contrasto con il principio di determinatezza in materia penale, consacrato dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”. Consacrato. Perché la norma della Costituzione tale viene ritenuta: sacra. Anche quando parla di prescrizione. O di amnistia e indulto. Una cosa che i partiti politici, con l’eccezione dei Radicali di Marco Pannella e di pochi garantisti, non hanno mai voluto digerire nel loro mondo ideale fatto di menzogne e propaganda becera.
Aggiornato il 31 maggio 2018 alle ore 13:33