Costruire una nuova Europa

Si può insistere con i parametri e i meccanismi rigidi imposti dalla visione dell’Europa franco-tedesca? O si ha finalmente l’intelligenza di costruire la nuova Europa su regole di convivenza, di tolleranza e di crescita e benessere effettivi comuni? Può l’Europa unita continuare con alla base quell’insofferenza crescente nelle burocrazie europee verso la democrazia, verso i popoli e verso le scelte di tutti i cittadini europei? Nella “narrazione” comune e in quella più maliziosa concepita dalla burocrazia e dai politici al Parlamento europeo, così come alla Commissione europea, - oltre che sui media di parte dell’Europa continentale -, ci sono solo due parti previste in commedia: o il soggetto pro-Europa, razionale, elegante, moderato, presentabile, o il soggetto anti-Europa, per definizione urlante e ululante, spacciatore di paura, mercante di panico, in ultima analisi impresentabile. Tertium non datur.

Invece l’elemento “terzo” c’è stato e c’è eccome, siamo noi, cioè tutta la pattuglia di personalità e di pensatori di impronta liberale o in qualche caso liberal democratica, non necessariamente antieuropeisti, anzi spesso sinceramente ammiratori della speranza dei fondatori europei, eppure preoccupati e dissenzienti rispetto al modo in cui si è perseguita la costruzione europea, e cioè attraverso un apparato di regole e di rigidità che, sul piano della forma, hanno reso l’Ue tecnicamente a-democratica, e sul piano della sostanza, ne hanno fatto una sorta di protettorato franco-tedesco. È resistita ed esiste una autorevole scuola di pensiero: la nostra. Non siamo affatto forsennati populisti, ma una voce che merita di essere ascoltata e compresa, con rispetto.

Come nel Dna italiano c’è la vaga convinzione di potere non rispettare le regole, di potere aderire ai Trattati con il retropensiero di non rispettarli, nel Dna tedesco c’è, pericoloso per ragioni opposte, la forte e scarsa attitudine a tollerare le diversità e una irrefrenabile propensione all’omogeneità, all'omogeneizzazione. Cosa vogliamo fare tutti insieme? Secondo noi è opportuna una critica radicale dell’architettura esistente delle regole europee. Bisogna rilevare e stigmatizzare i vantaggi competitivi ricavati dalla Germania a scapito di tutti gli altri Paesi. Si ricordi che dopo la Seconda guerra mondiale nella conferenza di Londra del 1953 i Paesi creditori – vincitori della guerra – decisero di cancellare metà del debito che doveva pagare la Germania come indennità da danni di guerra ammontante a 132 miliardi di marchi. E si ricordi anche che, nel corso della storia, la Germania è stata insolvente in almeno quattro circostanze, ovvero nel 1923 prima del Piano Dawes, nel 1932 dopo la crisi di Wall Street, nel 1945 dopo il crollo del terzo Reich e nel 1953 in occasione dell’Accordo sul debito di Londra.

Nonostante ciò, incurante ed ingrata della storia, nel 2009 con la crisi nei rapporti greco-tedeschi, mentre la Grecia accusava la Germania di non avere onorato i debiti contratti con la guerra, i tedeschi hanno prima accusato la Grecia di avere alterato i conti, per poi spolparla e prostrarla alle ferree regole tedesche europee. L’Europa è rimasta a guardare senza riuscire a dimostrare reattività né unità. I cittadini europei, ai quali le politiche dettate da Bruxelles e Francoforte hanno imposto enormi costi hanno cercato rifugio in partiti anti-sistema.  L’incapacità dei governi di prevenire l’alta disoccupazione e di evitare riduzioni nel tenore di vita ha portato alla disillusione. Non ci sarà nessuna soluzione positiva se non si faranno almeno due cose: 1) Nella forma e nel metodo, si deve stigmatizzare e superare il crescente fastidio verso la democrazia, contro il popolo, i cittadini, sempre più bypassati, dai circuiti delle decisioni europee. 2) Nel merito, la revisione e rilettura dei meccanismi e parametri rigidi - sul modello del Trattato di Maastricht - con nuove e più intelligenti regole di convivenza e tolleranza, in funzione del raggiungimento della crescita e del benessere di tutti noi cittadini europei.

Bisogna insomma adottare un metodo riformista, vale a dire condurre politicamente a ridefinire l’Unione europea in modo da trasmutare e convertire l’Europa attuale franco-tedesca nella Nuova Europa, ove ciascuno Stato è sovrano e gestisce la propria politica economica, convergendo autonomamente, progressivamente ed in maniera tendenziale nella nuova Europa, tutti insieme con gli altri Stati membri.

Aggiornato il 24 maggio 2018 alle ore 17:13