“Un bel giorno mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana perfezionando i miei studi giuridici presso: Yale University (New Haven, USA, 1992), Duquesne University (Pittsburgh, USA, 1992), International Kultur Institut (Vienna, 1993), Université Sorbonne (Parigi, 2000), Girton College (Cambridge, Regno Unito, 2001), New York University (New York, USA, 2008 e 2009)”.
No, non è Manuel Fantoni, il colorito personaggio del film Borotalco di Carlo Verdone, ma poco ci manca.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: Giuseppe Conte non ha taroccato il curriculum dicendo il falso. Probabilmente lo ha romanzato ingenerando nel lettore l’impressione che la formazione ricevuta all’estero fosse un più organico e strutturato percorso di perfezionamento mentre invece con molta probabilità si sarà trattato di sessioni formative spot se non addirittura di ricerche fatte privatamente in biblioteca.
Strano che il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica non abbia fatto sentire la sua voce iniziando una serie di indagini interne relative a quello che è pur sempre un suo dipendente. Ma forse è bene che sia così perché il Professor Conte dovrebbe essere un degno giurista italiano (che non avrebbe bisogno di abbellire il suo curriculum) e perché in Italia troppe cose finiscono in indagini inutili e dispendiose.
La verità è che il gossip sugli studi del Professor Giuseppe Conte non è molto avvincente perché le posizioni sono cristallizzate: da una parte ci sono i grillini che - in perfetto stile setta satanica - non vogliono sentir ragione arrivando a giustificare a oltranza quello che è pur sempre un abbellimento curriculare che pur non avendo risvolti penali ha implicazioni politiche e morali significative (tanto care ai paladini dell’onestà).
Dall’altra c’è chi inzuppa il biscotto nell’ennesimo scivolone grillino sui curricula (Virginia Raggi sbianchettava le esperienze scomode e Rocco Casalino si perdeva nei meandri dei “refusi”).
L’unico effetto stuzzicante della vicenda è invece il fatto di riuscire a provocare una serie di riflessioni che partono dal caso particolare andando a lambire la fenomenologia grillina e più in generale la deriva iconoclastica italiana.
In primo luogo - come ha giustamente osservato tra gli altri Enrico Mentana - la vera notizia non è tanto il curriculum del Professor Conte quanto il fatto che si sia stati costretti a cercare spasmodicamente notizie sul nuovo possibile Presidente del Consiglio altrimenti sconosciuto ai più.
Virtù pubbliche e vizi privati inoltre, questo è il prototipo del pensiero pentastar: ai tempi di Bersani si faceva lo streaming per discutere le alleanze e si tuonava contro i vari Enrico Letta e Mario Monti perché eminenze grigie non indicate dal Popolo alla Presidenza del Consiglio ma frutto di alleanze innaturali nate nei palazzi che non avevano ricevuto il suffragio nelle urne.
“Lo hanno detto solo dopo le elezioni, dopo aver fregato il voto agli italiani” che si sarebbero alleati, scriveva il 12 febbraio 2014 su Facebook Luigi Di Maio a proposito della maggioranza posticcia coagulatasi introno a Letta e Monti.
Oggi il contratto di governo non viene discusso in streaming (imbarazzante la discussione pubblica, vero Di Maio?), l’alleanza con la Lega non era stata decisa dagli elettori e il Capo del Governo indicato è uno sconosciuto Professore. Questa è la seconda cervellotica contraddizione grillina cui si aggiunge l’esaltazione dello sconosciuto, il mantra ricorrente nelle narrazioni pentastellate, quel teorema ad uso e consumo del popolo incazzato in base al quale il professionista della kasta è corrotto mentre il cittadino comune (che magari per darsi un tono ha bisogno di adornare le proprie referenze) va bene a prescindere, purché spazzi via la vecchia nomenclatura.
E non importa se sia davvero capace di fare il Capo del Governo (meglio un Giuseppe Conte che non ha esperienza alcuna in ambito politico ed internazionale purché cancelli Paolo Gentiloni). L’importante è che appaia onesto, che abbia pagato tutte le multe e che sia in regola con le rette della mensa del figlio.
Chi se ne frega se poi magari dice di aver fondato uno studio legale anche se era solo uno dei tanti autorevoli consulenti della società in questione: cose troppo distanti dalla pancia del cittadino che vede o bianco o nero, o la grossa tangente o l’invettiva violenta dei nemici del cambiamento che si attaccano a cose insignificanti per screditare il Conte di turno. La verità è che gli italiani non sono contro chi fa i magheggi: hanno simpatia verso chi fa impicci di basso cabotaggio (li giustificano perché magari se li sentono più vicini) e odiano chi ce l’ha fatta avendo la possibilità di maneggiare in grande. Gli italiani amano l’apparenza, la parvenza di onestà così come la amano i detrattori dell’alleanza pentaleghista innamorati del politicamente corretto.
I quali detrattori, così come succedeva ai tempi della Merkel “culona inchiavabile”, giocano a fare gli chic, si scandalizzano per l’etichetta, ripetono ossessivamente che la comunità internazionale è turbata di fronte allo scandalo del curriculum, fingono di arrossire di fronte alla figuraccia rimediata al cospetto dei partner internazionali ma è solo un inutile sfoggio di finta finezza, un modo abbastanza provinciale per dimostrare di saper stare al mondo e di avere una visione ampia delle cose sentendosi parte del contesto internazionale.
In realtà, dalla Germania alla Francia passando per l’Unione Europea, tutti si sentono in diritto di ingerire negli affari nostri senza alcun rispetto, potendo contare su questi “nobili decaduti” del politically correct che si ergono a magister elegantiarum mentre invece sono solo gli yesmen del sistema.
È questo il vero scandalo, altro che le dichiarazioni degli euroburocrati.
Coloro che da Bruxelles e dall’Italia, così come accadde con Berlusconi, giudicano con la puzzetta sotto il naso non fanno altro se non il gioco di Salvini e Di Maio rendendoli simpatici alla massa che li percepisce (senza avere tutti i torti) sotto attacco.
È il momento del silenzio: lasciateli lavorare senza dar loro l’alibi di non aver potuto governare per colpa dei poteri forti.
Se saranno in grado di fare il bene dell’Italia ne gioiremo tutti. Se invece, com’è altamente probabile, dimostreranno la loro evidente inadeguatezza non avranno scuse: sarà stata solo la loro crassa incompetenza a seppellirli. Lasciamo che dimostrino, se del caso, i loro evidenti limiti (dei quali possiamo lagnarci solo noi italiani e non altri) senza fare il gioco dei “signori dello spread”.
Aggiornato il 23 maggio 2018 alle ore 19:24