
Il “centrodestra”, questo centrodestra, non esiste più. È finito nel momento in cui Silvio Berlusconi, di fronte alla richiesta di Matteo Salvini di “prendere atto”, dandogli la sua benedizione, del fatto compiuto della sua alleanza con i “cugini” Cinque Stelle, ha dichiarato che l’“alleanza con la Lega rimane intatta”.
Ciò che rimane intatta, perché intangibile, è l’inesistenza di una vera “alleanza” e, comunque, di una entità politica, di una corrente realmente esistente nel Paese definibile come centrodestra. Intangibile ed intatta perché non c’è mai stata. Dico subito che sono convinto che Silvio Berlusconi non abbia governato l’Italia peggio di altri. Forse meglio. Quando l’ha governata. All’opposizione è stato un disastro. O, se meglio si riflette, non c’è mai stato. E non c’è mai stato un vero “partito”, una collettività di cittadini aventi opinioni, aspirazioni, obiettivi, richieste e repulsioni comuni. Con Berlusconi gli Italiani hanno dato prova della loro sostanziale indisponibilità a farsi veramente governare. La fiducia che ripetutamente hanno espresso a Berlusconi è stata in un certo senso eccessiva, perché concessa con la minima attenzione a ciò che il suo governo avrebbe potuto e dovuto dare agli elettori ed al Paese.
Questo ha consentito a Berlusconi di “trovare” le alleanze al di fuori e al di là di essenziali confini di affinità politica. Così ha “imbarcato” gli ex fascisti di Alleanza Nazionale, riuscendo ad “accompagnarli” verso un certo adattamento alla democrazia e a una sostanziale archiviazione della loro estraneità alle libere istituzioni. Che, poi, Gianfranco Fini ha ripagato con uno dei più stupidi e turpi casi di “tradimento” della storia moderna. Diversa l’imbarcata della Lega, di cui si direbbe che il Cavaliere abbia sin dall’inizio sottovalutato il carattere e le potenzialità eversive, avendone, del resto, fin dall’inizio, la prova anche della propensione al voltargli le spalle e ad unirsi al coro dei suoi detrattori e demonizzatori. Sotto l’ala protettrice di Berlusconi la Lega ha prosperato, trovato finanziatori generosi, si è organizzata, ha superato il suo carattere localistico e le sue fantasie federaliste e separatistiche (non senza aver ottenuto che ad esse si sacrificasse anche qualche non trascurabile dato di coerenza della nostra Costituzione).
La Lega è sempre stata il figlio un po’ asino e molto capriccioso di un padre Berlusconi cui dover dedicare soldi e pazienza per assicurargli un avvenire e non rovinare il buon nome della famiglia. Alle prime elezioni con il primo dei nuovi sistemi elettorali, il “Totarellum”, la Lega non raggiunse il quorum per usufruire della quota proporzionale. È andata crescendo coltivando una sua visione rozza ed egoistica della politica italiana, mentre Berlusconi sembrava preoccupato di azzerare ogni velleità di dar corpo ad un vero partito. Le strane manovre all’epoca del referendum del 4 dicembre 2016, con la nomina di un “coso” alternativo (o forse no) a Forza Italia hanno segnato il culmine della ostilità o, forse, l’incapacità di Berlusconi di concepire un partito, di dar corpo e voce a una parte della pubblica opinione, a dar modo ad essa di migliorarsi, rafforzarsi, espandersi, come è nelle finalità di un partito che sia tale. Berlusconi, raccontava Biondi (che fu tra i primissimi ad accorrere accanto a lui nel 1994), mentre attendeva alla preparazione della sua scesa in campo con Forza Italia (una denominazione da tifoseria calcistica in sé significativa) lo rassicurava ed incitava dicendogli: “Faremo un partito liberale di massa”. Biondi, raccontava, spense quell’entusiasmo dicendogli “purché invece che di Massa risulti poi di Carrara...”.
Forza Italia è risultata, come partito, di marmo, sia pure di Carrara, il migliore del mondo ma, in fondo, piuttosto dell’arenaria dei “moderati”. Cioè non è stato che un simulacro, non uno strumento per dare agli Italiani, almeno, la sensazione di una parte a cui rivolgersi senza, però, neanche e un po’ di senso di responsabilità di partecipare alla vita pubblica, ma un mezzo per poterne fare a meno, per confidare nella buona sorte. Il che è difficile duri a lungo.
Bisognerebbe aggiungere che gli Italiani “non sanno” o sanno assai poco e molto male “essere governati”. Perché a fare della democrazia c’è e ci deve essere prima di tutto una capacità di essere governati che è solo apparentemente passiva. Pretendere buone regole, opporne limiti alla prepotenza e all’arbitrio, saper chiedere uguaglianza, coprire la necessità e i limiti dei sacrifici. Essere, insomma, governati e non tenuti al laccio. A Berlusconi, checché se ne dica, va la riconoscenza proprio degli Italiani che meno si entusiasmarono di quel suo appello ai “moderati”. Probabilmente si è chiesto a lui quello che mai avrebbe potuto dare. Ed egli stesso ha sopravvalutato l’importanza di governare, comunque e con chiunque. Nel senso di “stare al Governo”. Ma qui e ora non c’è alcun processo da fare (ci mancherebbe anche questo). È forse però necessario che anche di questo centrodestra si rimuovano le macerie, i sedimenti e i rottami.
In un mondo che sembra all’acme della tecnologia, della sistematicità, delle elaborazioni delle esigenze sociali, sembra ed è difficile pensare ad un “ripartire da capo”. Difficile, ma, forse indispensabile. Se non vogliamo conoscere ancora “il verno della barbarie”.
Aggiornato il 11 maggio 2018 alle ore 17:03