
L’Italia come la Quinta Repubblica di Marianne? E perché no? Sarebbe in fondo l’Ultima Spes, la prova d’appello per la salvezza nazionale. Se troppi attori politici di oggi non fossero prigionieri di veti e odi incrociati (vi ricordate il mitico Enzo Iannacci, in: “Vengo anch’io? No, tu no!”) si accorgerebbero di avere nelle loro mani un potere immenso: poter procedere a una riforma costituzionale davvero epocale per l’introduzione di una Repubblica Presidenziale alla francese, con ballottaggio finale tra i due candidati più votati qualora nessuno dei due abbia raggiunto al primo turno il 50 per cento più uno dei consensi. Ma, per far questo, bisognerebbe essere capaci di immaginare il futuro e, soprattutto, di recidere le catene del proporzionale che ci tengono prigionieri dal 1948, per nostre esclusive volontà e incapacità di elettori. Ormai, non ha più alcun senso il timore di allora dei nostri padri costituenti costituito dallo spettro del cesarismo e, quindi, dall’eredità fascista che si voleva cancellare definitivamente, ma senza fare i conti sul passato né a destra, né a sinistra, come si è visto dopo la morte di Stalin e la fine dello stalinismo. Quindi, dipende solo e soltanto dai cittadini che votano capire come si entra nella modernità delle decisioni rapide e dei mandati pieni di legislatura, in cui chi vince governa e realizza il proprio programma.
Paradossalmente, una simile riforma gioverebbe a tutti. Vediamo perché, immaginando già di aver fatto un salto quantico alla Quinta Repubblica. In prossimità delle elezioni presidenziali oggi come oggi, in buona sostanza, gli sfidanti sarebbero quattro: due formazioni populiste antagoniste, da un lato, come la Lega al Nord e il Movimento 5 Stelle al Sud, ai quali si contrapporrebbero le attuali formazioni centriste di destra e di sinistra di Forza Italia e Partito Democratico. Né Luigi Di Maio né Matteo Salvini avrebbero partita vinta e priori e, se dovessero andare loro due al ballottaggio alla fine le loro promesse demagogiche verrebbero del tutto stemperate dalla confluenza dei voti degli altri due schieramenti centristi. Si può ragionevolmente supporre che il M5S metterebbe molte cose care alla sinistra nel suo programma elettorale, in previsione del ballottaggio, così come la Lega farebbe con i centristi dell’altra maggioranza silenziosa. Quindi, né flat tax al 25 per cento, né reddito di cittadinanza ma, in alternativa, una loro versione meno radicale e più abbordabile con le attuali dimensioni del debito pubblico italiano e dei vincoli di bilancio europei.
L’altro aspetto molto più interessante, però, non starebbe tanto nella concorrenza diretta e decisa tra i diversi programmi dei candidati alla Presidenza, quanto nella capacità dell’Italia di avere al termine della competizione una rappresentanza forte quanto quella della Francia. In questo modo, quindi, saremmo messi in grado di condizionare molto seriamente sia il processo decisionale del Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, sia di rideterminare a nostro favore la caratura e il peso dell’Italia nei vertici internazionali extraeuropei.
Qui il riferimento va dalle aree ribollenti della costa mediterranea mediorientale, alle guerre commerciali nei confronti di Cina e Usa, per terminare con le strategie di approvvigionamento energetico e i rapporti con la Russia putiniana, in particolare. Se questo spaventa moltissimo le clientele che sul proporzionale hanno fatto affidamento da settanta anni a questa parte per la spartizione degli ingenti flussi di denaro pubblico prodotti dalla fiscalità, d’altra parte il presidenzialismo rafforzerebbe le scelte di politica industriale per il rilancio delle grandi infrastrutture (decide uno solo!); di sicurezza e immigrazione; di welfare e misure di sostegno all’occupazione. L’Italia ha grandi orecchie: proviamo a parlar chiaro, allora.
Aggiornato il 04 maggio 2018 alle ore 14:09