L’etica del non governo

Il Governo? Un “giuoco delle parti” pirandelliano come e forse più di sempre. Con una variante di non poco conto però, anche se alla fine tra i due coniugi (solo formalmente coniugati) sarà l’amante a essere ucciso in duello.

In realtà, l’ensemble a tre elementi appare impegnato nel classico “giuoco del cerino acceso”: perde chi, da buon ultimo, si brucerà le dita. Così per ora il contendente, che da solo è stato il più votato dei restanti singoli partiti in lizza, pratica la difficile arte dell’etica del non governo, escludendo di accordarsi e stringere la mano a due dei suoi potenziali untori e soci di minoranza, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, in ciò ricambiato con la stessa antipatia.

Si può ben capire il Partito Democratico, cioè l’amante, che ha inopinatamente smarrito nientemeno che la metà dei suoi precedenti consensi elettorali. Questo perché nell’immaginario collettivo il Pd renziano risulta colpevole di aver perduto qualsiasi riferimento ai tratti tradizionali della sinistra storica, identificandosi con l’establishment. E quest’ultimo, come scrivono gli studiosi, è il nemico giurato del populismo che postula uno spartiacque tra “la purezza del popolo” e “le élite corrotte”.

Così assisteremo ancora per qualche tempo a questo rapido passaggio del cerino acceso che prima o poi si consumerà inevitabilmente a danno di qualcuno. Il guaio vero è che quando ci si avvicina alla macchina governativa accade che la demagogia delle promesse vane della campagna elettorale sia costretta, letteralmente, a fare i conti con la realtà di un’Italia che messa più male non si può, a causa del macigno del suo debito pubblico e dei vincoli imposti dall’Euro e dai Trattati sulla spesa allegra del passato.

Perché, per avere un Governo Di Maio bisognerebbe essere disposti a litigare seriamente con Bruxelles sullo sforamento del 3 per cento, e sugli obblighi di rientro progressivo dal debito. Cosa che né i “virtuosi” del Pd, né Forza Italia potrebbero mai permettersi. Quindi, flat-tax e reddito di cittadinanza non sono entrambi sostenibili con le entrate attuali. Ed è inutile davvero mettere gli occhi sui depositi postali della Cassa depositi e prestiti che appartengono a decine di milioni di piccolissimi risparmiatori, e non possono quindi essere utilizzati per sostenere la spesa corrente. Alla fine, sarà l’arbitro del Quirinale a dover scegliere per tutti, qualora il gioco si esaurisca inutilmente sui veti reciproci.

Vista l’estrema liquidità dell’elettorato, che ormai picchia duro di volta in volta sui responsabili dello scontento popolare, vale forse la pena capire chi davvero si configuri in futuro come “attrattore politico”, capace di una gravitazione permanente che ne faccia il luogo e il punto di riferimento per future maggioranze stabili. Bisogna dire che solo la Lega presenta le giuste caratteristiche dinamiche, volendo tradurre sul piano nazionale le ricette del suo buon governo locale, grazie alla strategia degli sgravi fiscali per rilanciare la crescita economica del Paese.

Il Movimento 5 Stelle, invece, facendo leva sull’aspetto strumentale plebiscitario del reddito di cittadinanza particolarmente gradito a un Sud povero e disoccupato, non ha solide basi né compromissorie (ineludibili nell’arte di governo), né tecniche per non pregiudicare definitivamente la già precaria stabilità di bilancio e lo stato critico dei conti dell’Inps; né ha idea su come si possa governare il credito bancario e le relative ristrutturazioni del settore oggi in profondo rosso. La sconfitta dei grillini, però, non gioverebbe elettoralmente a nessuno degli altri giocatori privilegiando, al contrario, la crescita dell’astensionismo. Un bel rebus, risolvibile soltanto con una legge maggioritaria che privilegi il bipartitismo.

 

Aggiornato il 29 marzo 2018 alle ore 19:40