Salvini, quattro punti e conclusioni

Adesso, con tutto il rispetto per gli interessati, ci piacerebbe capire come funzionerebbe (almeno nella testa di qualcuno) l’interpretazione dell’attuale, e farlocca, legge elettorale.

Primo punto. Il Movimento 5 Stelle è il partito (già Movimento) che ha preso più voti di tutti ma sembra non tenere conto che circa il 68 per cento degli elettori non sta dalla sua parte. Primo partito, ma senza maggioranza.

Secondo punto. Il Partito Democratico ha perso tutto ciò che poteva perdere - ma al peggio non c’è mai fine - e, secondo i più, la colpa è attribuibile al solo Matteo Renzi il quale di errori ne ha compiuti (soprattutto dal punto di vista strategico), ma non sarebbe giusto non ammettere che qualcosa di buono e coraggioso lo ha fatto.

Terzo punto. Il centrodestra ha tirato su uno schieramento che, nonostante tutto, lo ha portato ad essere la prima coalizione. Al suo interno le regole hanno stabilito che ad essere candidato a premier dovesse essere il leader del partito che prendeva più voti. Considerando l’inverosimile gestione di Forza Italia, il leader della Lega Matteo Salvini è attualmente quello che ha preso più consensi e quindi è il premier in pectore dello schieramento moderato come da accordi di cui sopra.

Quarto punto. Salvini fa finta di non capire e allora si sente (giustamente) candidato a premier della intera coalizione ma, con il suo partito, sarebbe addirittura sotto il Pd.

Conclusioni. Salvini sarebbe però il caso che chiedesse il presidente di una delle due Camere per la coalizione e non per la sola Lega perché, senza gli alleati, non sarebbe nemmanco in grado di dettare le condizioni dalle parti di largo del Nazareno: il 17 per cento o poco più sarebbe praticamente il nulla.

Aggiornato il 14 marzo 2018 alle ore 08:06