
Ha ragione Ernesto Galli della Loggia ad ammonire sull’ambiguità delle definizioni di alcune parole con particolare riguardo al termine “antifascista”. Ha ragione ma la sua analisi, seppur condivisibile, si ferma a metà percorso e non spiega fino in fondo “il caso Italia”. Per fugare ogni dubbio anticipando chi volesse polemizzare, specifichiamo non solo di essere antifascisti, ma che gli orrori e le vergogne del fascismo sono per noi imperdonabili a vita.
Detto ciò, il problema italiano sull’antifascismo nasce e cresce per colpa della scarsa analisi che si è fatta intorno al comunismo e alla sua storia ideale e fattuale. Da noi, infatti, non solo i comunisti hanno scritto la storia della resistenza e della liberazione ad usum delphini, ma in modo solipsistico hanno tracciato le linee della verità, della appartenenza e della riconoscibilità antifascista. Per farla breve, sono stati solo loro a liberare l’Italia dal cancro nazifascista; sono tati solo loro a combattere la lotta partigiana, a restituire la democrazia e la libertà al nostro Paese. I comunisti per riuscire in questo intento dal referendum Monarchia/Repubblica in poi hanno occupato e pervaso ogni area possibile dell’informazione, della scuola, dell’Università, della cultura e dei cenacoli intellettuali. Insomma, hanno fatto in modo che nell’immaginario collettivo l’antifascismo autentico e accettato fosse solo quello certificato da loro. Come se non bastasse, i comunisti sono stati talmente bravi da non consentire che in Italia si aprisse un vero dibattito, una vera analisi e un vero giudizio storico sulle nefandezze generate invece dal comunismo applicato.
Sia chiaro, tutto ciò è stato possibile non solo per la bravura e la scaltrezza dei compagni, ma anche per l’ipocrisia, l’opacità e l’acquiescenza di troppi altri. Insomma, l’asse portante della nostra Costituzione formato da Dc e Pci ha funzionato subito nella spartizione consensuale dei poteri e delle influenze politiche e culturali. È stato così che in Italia si sia per un verso accettata la logica che l’unico antifascismo fosse quello comunista e per l’altro che sul comunismo si approfondisse poco o niente. Poco o niente dei legami forti fra Stalin e Togliatti, fra Pci e Pcus, poco o niente dell’antiebraismo sovietico, sui gulag, sui carri armati in Ungheria e sul dispotismo dell’est comunista. Poco o niente sulle testimonianze di Arthur Koestler nel suo “Buio a mezzogiorno”, oppure quelle di François Furet, di Raymond Aron e di André Malraux, sull’essenza totalitaria, illiberale, antidemocratica e dittatoriale del comunismo.
In definitiva, è come se il comunismo avendo lottato contro il fascismo, avendo contribuito alla liberazione, avendo partecipato alla sconfitta del cancro nazifascista, fosse per questo diventato tout court democratico e unico depositario delle libertà. In Italia si può essere antifascisti solo se la si pensa esattamente come i comunisti, i postcomunisti, i cattocomunisti e i radical chic dei salotti buoni. In tutti gli altri casi si è considerati spesso estremisti di destra, razzisti, xenofobi, figli della lupa e per questo passibili di ogni insulto, insolenza, offesa e talvolta aggressione fisica. Nel nostro Paese si può essere antifascisti in un solo modo, altrimenti sono guai, alla faccia della democrazia e della libertà. Da noi si pratica l’antifascismo con il volto chic di un altro fascismo, che attacca e aggredisce intellettualmente, culturalmente, talvolta fisicamente, chi non risponde al pensiero unico della sinistra postcomunista. La realtà è che nella storia mondiale fascismo e comunismo sono state e restano due facce della stessa medaglia, una rozza e l’altra chic, ma tutte e due totalitarie, assolutiste, illiberali, orrende e sciagurate.
Ecco perché l’unica verità non può essere altro che quella del pensiero liberale, democratico, repubblicano, laico e popolare, che non è figlio del fascismo ma nemmeno del comunismo e dei suoi eredi, con buona pace della rive gauche nostrana.
Aggiornato il 27 febbraio 2018 alle ore 08:18