Il Decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2017, controfirmato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ha disposto lo scioglimento delle Camere, anticipando così la fine della Legislatura.
Lo scioglimento, come ha confermato il messaggio presidenziale di fine anno, è avvenuto esclusivamente per consentire di chiamare gli Italiani alle urne il 4 marzo 2018. La XVII Legislatura si sarebbe conclusa il 15 marzo 2018, essendo state le Camere elette il 24 e 25 febbraio 2013 e tenuta la prima riunione il 15 marzo successivo, e le elezioni avrebbero dovuto essere svolte entro settanta giorni, ovvero entro il 24 maggio 2018.
Non si è trattato, pertanto, di uno scioglimento per crisi politica e impossibilità di formare una maggioranza di governo, né per ritenuto deficit di rappresentatività del Parlamento, né per altri casi estremi, quali il venir meno a obblighi costituzionali da parte delle Camere o l’arresto dell’attività parlamentare, ma solo per un motivo tecnico di tempistica elettorale, che, a fine Legislatura, è compito del Governo determinare. Al contrario di quanto superficialmente si dice, l’atto di scioglimento non è “prerogativa” del capo dello Stato.
Infatti, nelle forme di governo parlamentari, imperniate sul rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento, lo scioglimento delle assemblee rappresentative o è rimesso alla decisione del Governo (addirittura, nella democrazia più antica, quella britannica, del Primo Ministro) o, come nella nostra, è atto complesso uguale, a compartecipazione paritaria della volontà del Presidente della Repubblica e del Governo, secondo il principio della leale collaborazione fra gli organi costituzionali. A garanzia di tale assetto, è rivolta la controfirma del Presidente del Consiglio, in assenza della quale l’atto presidenziale non è valido (articolo 89 Cost.), seppur preceduto dalla consultazione dei Presidenti della Camere (articolo 88 Cost.).
Solo nella forma di governo francese, che, a parte limitati periodi di “coabitazione”, è addirittura “iperpresidenziale”, come dimostra l’attuale esperienza, il Presidente della Repubblica ha il potere di sciogliere l’Assemblea Nazionale con un atto politico di sua esclusiva volontà, che, come tale, non è controfirmato dal Primo Ministro (artt. 12 e 19 della Costituzione francese vigente). Lo scioglimento tecnico (e non per crisi politica o istituzionale) è equiparato alla fine naturale della Legislatura e, pertanto, non comporta alcuna diminuzione di potere né per le Camere né per il Governo. Tant’è vero che “finché non siano riunite le nuove Camere sono prorogati i poteri delle precedenti” (art. 61 Cost.).
Ogni opinione contraria tesa a variamente limitare i predetti poteri non ha alcun fondamento costituzionale né indica le disposizioni della Carta da cui deriverebbe una siffatta limitazione. Tale aspetto è di particolare importanza, considerato che le Camere dovranno esprimersi sulla missione militare in Niger già deliberata dal Consiglio dei ministri, sempre il 28 dicembre, ma che non potrebbe svolgersi senza l’autorizzazione del Parlamento, a cui la delibera governativa è già stata inviata. Ne consegue, altresì, che la mancata approvazione della proposta di legge attributiva della cittadinanza, secondo il noto criterio dello Ius soli temperato, non è dovuta a carenza di tempo o di potere a fine legislatura, ma a un legittimo dissenso politico sulla stessa. Bisognerebbe ammetterlo senza infingimenti di sorta, che aumentano solo la confusione che in proposito è già stata fatta. Come si vede, la Costituzione, nella sua raffinatezza, provvede a tutto e garantisce tutti, anche quelli che volevano (e vorrebbero) riformarla.
(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino
Aggiornato il 06 gennaio 2018 alle ore 08:19