Maria magistra vitae

Spesso la gente non dice quel che pensa. Anzi: si crogiola in “quel che si dice” e, così, fa in modo che un pensiero critico e davvero libero, non muova alcun passo avanti nella vita. Maria Falcone, invece – professoressa di Diritto alle superiori, per niente a riposo – dice fin troppo quello che pensa. E, soprattutto, si preoccupa di verificare che nulla di ciò che pensa resti equivoco o non chiaro. Dà a pensare e sollecita a muoversi criticamente, per questo incontrarla in un dialogo con gli studenti fa bene davvero, all’emotività e alla ragione, specialmente degli adulti.

Si sa che la ragion pura è centrata su “come” agli umani sia dato conoscere la realtà – non tanto “cosa” all’uomo sia dato conoscere – così come la ragione pratica attiene alla sfera dell’azione e del comportamento del singolo, rispetto alla realtà che lo circonda, quindi alla sua volontà e libertà. Oltre ogni partizione filosofica, la comunicazione educativa di Maria Falcone irradia una potente azione culturale, prima ancora che morale ed etica. In ogni occasione in cui sia dato partecipare ai suoi dialoghi con gli studenti, in Italia e all’estero, è imponente l’approccio anagogico delle sue riflessioni per cui raccontando di Giovanni Falcone – sin dall’infanzia – la professoressa promuove, in realtà, una visione della vita, della meritocrazia e di una società che deve fondarsi sul “credere” in comportamenti di valore, piuttosto che non nell’ “aderire” – o rassegnarsi – a valori retorici e politicamente convenienti.

Sì, perché Maria Falcone non ha mai accettato compromessi tra la direzione della verità e quelle scorciatoie d’opportunità, spesso suggerite da manipolazioni interpretative azzardate – anche di alta amministrazione – volte a rappresentare la storia di Giovanni Falcone come quella di un bastian contrario in cerca di ribalte, disancorandola scientemente dalla verità. Grazie a tanta fermezza, il messaggio di Falcone “fare il proprio dovere fino in fondo”, non tollera – ancora oggi – la prospettazione di interpretazioni accomodanti agli occhi dei giovani che, ogni anno, sono invitati a condividere l’opzione fondamentale su quanto costoso e irrinunciabile sia vivere preoccupandosi di fare il proprio dovere, sino in fondo. E, quindi, è bene insegnare ai giovani far di conto, sin dalle classi elementari, tra le conseguenze del culto dell’utilità – come l’anello del potere di Tolkien – rispetto al culto del senso del dovere, come atto di verità immanente alla giustizia e quindi alla libertà.

Maria Falcone testimonia, in ogni suo intervento educativo, che senza prendere atto della verità nella storia, non può darsi ingresso alla giustizia attraverso le istituzioni. Non c’è ombra di retorica. Nel discorso tenuto al plenum straordinario del Consiglio superiore della magistratura il 22 maggio scorso, in coincidenza della pubblicazione degli atti su Giovanni Falcone – desecretati nel XXV anniversario della strage di Capaci – la professoressa è stata chiarissima verso chiunque abbia orecchio per intendere: “In questa aula sono state prese le decisioni che hanno condizionato la vita di Giovanni come magistrato e come uomo” (...) È per effetto di alcune di queste decisioni che “Giovanni ha cominciato a morire”. Ed è per questo, proseguì in quel plenum Maria Falcone, che “come lo definiscono gli americani, an Italian Patriot: Giovanni fu soprattutto un patriota italiano”.

In realtà, accanto alla commemorazione istituzionale da parte del Csm, venticinque anni dopo Capaci, si assiste alla piena fioritura del seme culturale messo a dimora sin dal 2002 dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone che, con il Ministero dell’Istruzione, ha organizzato la “Nave della Legalità”: un evento di straordinaria caratura nazionale sia per migliaia di studenti che per i loro docenti e le famiglie le quali, anche se a distanza, partecipano il senso di una organizzazione davvero imponente. Giovani di tutta Italia che, partecipando al concorso annuale dedicato alla commemorazione della strage di Capaci del 23 maggio 1992, prendono il largo da Civitavecchia, alla volta di Palermo per condividere una notte di navigazione e un’intera giornata nei luoghi più evocativi della figura di Giovanni, tra cui l’aula Bunker e l’albero Falcone ancora lussureggiante sotto l’abitazione che fu del magistrato.

La Nave della Legalità offre un’esperienza di memoria condivisa su come e cosa – sollecitati ad un’esperienza critica – sia significato scegliere, ogni giorno, di combattere la mafia da parte di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutti i protagonisti di quella tragica stagione della Repubblica. Per questo, è sempre più potente la reazione che si avverte quando Maria Falcone prende letteralmente per mano l’immaginario dei bambini, nelle scuole, accompagnandoli con grande garbo e inscalfibile chiarezza nella selva – avvertita dalla ragione degli adulti – in cui si è compiuta la storia umana ed istituzionale di Giovanni Falcone. Il bello, ancora oggi, è vedere la professoressa Falcone spalancare le porte della propria memoria familiare innanzi a centinaia di piccoli studenti delle classi elementari, raccontando loro il Giovanni Falcone bambino come virtuale riferimento in cui rispecchiarsi, in ogni più naturale e comune fragilità dell’infanzia.

Tra i plurimi appuntamenti annuali, in Italia e all’estero, ne dà prova ogni anno – in Abruzzo – durante la sua partecipazione al Progetto Educals, in occasione del premio omonimo che Maria Falcone, quale madrina, istituì nel 2010 e in occasione del quale incontra – ogni anno – centinaia di studenti.

La semplicità dei ricordi da condividere, è per lei un fil rouge cui associare i messaggi educativi più attuali: come ad esempio quando, patito del personaggio di Zorro, il piccolo Giovanni Falcone incise una bella “Z” sulla tappezzeria in stoffa delle pareti nella casa familiare della nonna paterna (sorella del già Sindaco di Palermo, Pietro Bonanni) sortendo come reazione non solo sculaccioni da parte di sua madre ma anche il diniego del bacio della buona notte, da parte di suo padre: perché “rispettare gli altri” è necessario quanto rispettare se stessi. Una “lezione” che Giovanni Falcone dichiarò, da quella sera, di aver nitidamente percepito e fatto propria. Qualche anno prima, infatti, racconta la professoressa (agli studenti delle elementari) che Giovanni, già in prima elementare, era gelosissimo delle attenzioni che la sua terza sorella (Anna, più grande di nove anni) si vedeva riservare dai propri compagni di classe: nel 1945 in prima elementare, Giovanni era il “paladino della sua sorella maggiore” e non esitava a prendere a cartellate i ben più grandi amici di sua sorella (la cartella era sì di cartone, ma piuttosto duretta).

In questi racconti, in cui la fragilità dell’infanzia di un’icona della Giustizia non decade mai nell’infantilismo, risiede buona parte della missione educativa della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone e del suo presidente, offrendo già a bambini delle classi elementari una narrazione accessibile alla figura di Giovanni Falcone, così come – ai più grandi – le attività di educational che premiano i più meritevoli studenti, nelle classi superiori e all’università, attraverso stage attuati in collaborazione con l’Fbi o in partnership accademica tra la Fondazione Falcone, il Programma Fulbright e la Niaf (National Italian American Foundation).

Il messaggio nella bottiglia consegnato da Maria Falcone al mare aperto delle giovani generazioni è semplice: la conoscenza della verità sulla vicenda istituzionale di Giovanni Falcone è un patrimonio irrinunciabile perché, in Italia, la storia della lotta alle mafie costituisce parte integrante della storia stessa della nostra Italia e l’educazione condizione essenziale per la cultura, la libertà morale e la democrazia. Un monito di cui la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone è davvero garante nell’educational internazionale alla legalità e di cui, a quanto pare, le istituzioni interessate – soprattutto all’estero – hanno già ampiamente preso atto, dal 23 maggio del 1992 ad oggi.

Aggiornato il 07 novembre 2017 alle ore 21:23