
Nel mese di settembre, su queste stesse pagine, fummo facili profeti nel preavvertire sulla possibilità di un accordo postelettorale tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle. Oggi qualcuno insiste nel prospettare un patto segreto tra Beppe Grillo e Matteo Salvini, una sorta di accordo di governo in perfetto stile che a nostro avviso non esiste. La prova consisterebbe nelle affermazioni del leader della Lega il quale, discutendo di scenari relativi alla prossima legislatura, ha affermato che, nel caso in cui il centrodestra non avesse una maggioranza, non si rivolgerebbe sicuramente a Matteo Renzi, Angelino Alfano o Paolo Gentiloni, ma consulterebbe Grillo per provare a trovare la quadra.
A ben vedere, seppure l’eventualità di un accordo parlamentare rientri tra le cose possibili, il catalizzatore di una simile alleanza innaturale tra grillini e salviniani non va ricercato in una trama ordita a tavolino, ma nella natura stessa della legge elettorale appena approvata che consegna il Paese a una ingovernabilità molto probabile o comunque a un sistema di equilibri di maggioranza da affidare alla contrattazione postelettorale.
Quella appena approvata è una legge nata per impedire lo strapotere grillino e per tornare al parlamentarismo, abbandonando quel sistema di “Poli” che aveva contribuito a mettere ordine alla tendenza tipicamente tricolore che suole definirsi con termini gentili “mediazione o compromesso”.
Salvini non scopre mica l’acqua calda ma dice solo quella che è la realtà dei fatti: sondaggi alla mano, se si votasse adesso, l’unica maggioranza dotata dei numeri necessari a governare sarebbe probabilmente quella tra Cinque Stelle, Lega e Fratelli d’Italia. Altri incastri non avrebbero i numeri in Parlamento. Quindi non si tratta di un inciucio ma di un ragionamento che, bello o brutto che sia, descrive lucidamente il pateracchio che questa legge elettorale ci restituirà allorché sposterà il potere decisionale sulle maggioranze di governo dalla cabina elettorale all’aula parlamentare.
Salvini, un po’ come Silvio Berlusconi nel ’94 con il sistema elettorale maggioritario, è stato il primo ad aver capito lo spirito di questa legge e, dichiarandosi preventivamente indisponibile a patti con chi ha governato illegittimamente in questi anni, ha dato un contributo di chiarezza al dibattito facendo professione di coerenza e chiedendo di essere giudicato anche sulle intenzioni (quelle stesse intenzioni che gli altri abilmente tacciono in perfetto stile proporzionale).
Non si può dire che Letta, Monti, Renzi e Gentiloni sono abusivi e poi non escludere futuri compromessi magari in nome della responsabilità nazionale et similia. Marcando invece sin da subito la propria posizione, il leader della Lega si è rafforzato concorrendo – unico caso ad oggi – a dissipare quella nebbia entro cui il sistema politico si è scientemente cacciato da quando, abbandonata la vocazione maggioritaria, ha deciso di marcare le differenze in piazza facendo tutto il contrario magari al Nazareno. Prova ne sia il fatto che gli altri partiti, M5S compreso, non vanno oltre il propagandistico “vinceremo noi” contribuendo ad instillare nel corpo elettorale l’intima convinzione che le contrapposizioni siano solo simulazioni messe in atto per allargare il consenso e poi pesare in Parlamento. Questi margini politici rarefatti, le cui possibilità sono notevolmente amplificate dalla prossima legge elettorale, hanno generato Alfano, Verdini, maggioranze rabberciate su singoli provvedimenti, patti inconfessabili e governi di tutti cui corrispondono responsabilità di nessuno.
La gente non ha gradito e si è allontanata dalla politica. Salvini ha semplicemente intercettato un’esigenza di chiarezza. Piaccia o no.
Aggiornato il 31 ottobre 2017 alle ore 22:03