Con cinque voti di fiducia (articolo per articolo) e con votazione finale, il Senato ha definitivamente approvato la legge elettorale delle due Camere. Il “Rosatellum bis” attende ora la promulgazione del capo dello Stato. Le forze parlamentari (minoritarie) dissenzienti lo invitano a non firmare la legge, che ritengono incostituzionale.
Quantunque si possa dissentire sul metodo elettorale prescelto, il giudizio di costituzionalità non dipende, tuttavia, da scelte di parte, ma è ancorato a parametri giuridici di conformità con la Carta Fondamentale e in particolare, per la legge elettorale, con i principi di personalità, uguaglianza e libertà del voto che la giurisprudenza costituzionale ha enucleato e che il “Rosatellum bis” non pare disattendere.
Nonostante il clamore propagandistico, nessuno degli oppositori ha saputo concretamente indicare in che cosa consisterebbe l’incostituzionalità di un sistema elettorale, che si propone di coniugare (anche se non è detto che vi riesca) rappresentanza e governabilità, come già fece il cosiddetto “Mattarellum” negli Anni Novanta, assicurando, per la prima volta nella storia della Repubblica, l’alternanza di governo tra le forze politiche.
La nuova legge elettorale, analoga per le due Camere, detta anche “Mattarellum” rovesciato poiché inverte le percentuali di quello originario, stabilisce il 64 per cento dei seggi attribuito con il sistema proporzionale di lista e il 36 per cento con il sistema uninominale maggioritario. Sono previste, per la parte proporzionale, liste bloccate composte da un numero ristretto di candidati, con divieto del voto di preferenza e con collegamento necessario, su unica scheda e senza possibilità di voto disgiunto, con il candidato del collegio uninominale maggioritario.
Come ha stabilito la Corte costituzionale, il rapporto eletto/elettore espresso dal suffragio è salvaguardato non solo dal voto di preferenza, ma anche da una lista ristretta di candidati, che renda riconoscibile la volontà dell’elettore. Il collegamento con il candidato del collegio uninominale, eletto con il metodo maggioritario, è in linea con l’esigenza, che tutti i sistemi delle grandi democrazie occidentali perseguono, di accordare rappresentanza e governabilità favorendo la formazione, legittimata dal voto popolare, di maggioranze di governo. Tale esigenza (oggi più che mai non negoziabile) sarebbe pregiudicata o comunque resa assai più difficoltosa, ammettendo il voto disgiunto con la conseguente dispersione (o confusione) del suffragio.
Non si vede pertanto dove sia l’incostituzionalità e non si può certo chiedere al Presidente della Repubblica di ergersi a giudice costituzionale. Il potere che egli esercita in sede di promulgazione non è infatti un giudizio di costituzionalità, che non gli compete, ma una valutazione preliminare, di merito costituzionale, al fine del rinvio alle Camere per una nuova deliberazione, della quale per il “Rosatellum bis” non sussistono i presupposti. Nessuna legge elettorale è perfetta e qualunque sistema lascia sempre qualcuno scontento. Tuttavia questa, approvata dalla maggioranza e dalle principali opposizioni parlamentari (circostanza già di per sé apprezzabile, trattandosi di stabilire le regole del gioco), è migliore di tante altre e certamente di quella scaturita, senza alcuna legittimazione, dalla sentenza della Corte costituzionale del gennaio scorso.
(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino
Aggiornato il 31 ottobre 2017 alle ore 17:33