
Dietro la massiccia migrazione dal Centro-Africa verso le coste mediterranee c’è l’accordo di Lagos, stretto tra le multinazionali cinesi, lo speculatore “filantropo” George Soros e le multinazionali che vogliono abbandonare il campo (ovvero, francesi, inglesi e olandesi).
Ma facciamo un salto al 2014, all’epoca l’anglo-olandese Royal Dutch Shell ed i francesi della Total annunciavano la vendita di giacimenti petroliferi nell’area del Delta del Niger. Le cessioni andavano dalla terraferma sino alla cessione del sito di Usan: un campo offshore situato circa 100 chilometri a largo della costa della Nigeria sud-orientale. Il valore del giacimento era all’epoca di circa due miliardi e mezzo di dollari. Gli acquirenti nazionali (ovvero i nigeriani) erano privi di risorse economiche necessarie all’acquisizione, così si facevano avanti importanti gruppi cinesi. Parimenti George Soros, che nell’operazione migrazione ha investito un miliardo di dollari, trattava l’acquisto di vaste aree con vari governi corrotti centrafricani. Ovviamente i governi garantiscono agli investitori che le aree vengano liberate dai contadini, dagli storici insediamenti tribali.
Questa è una seconda (ma tecnologica) colonizzazione: soltanto che tra il Settecento e l’Ottocento la colonizzazione veniva operata dai governi del Vecchio Continente (poi Imperi centrali, la cui funzione politica terminava con la Grande Guerra), invece la neo-colonizzazione è opera di oscure strutture finanziarie sovranazionali. Contro queste ultime non possono nulla né l’Onu né la Banca Mondiale, perché molti governi rappresentati alle Nazioni unite vengono corrotti dalle stesse multinazionali. Così vendono le terre con l’impegno di liberarle dagli indigeni, a cui viene pagato il biglietto d’eccesso clandestino in Europa.
Il quotidiano di Lagos “Business Day” scriveva nel 2014 che a rilevare la quota di Total sarebbero stati i gruppi cinesi, come Cnooc, o gli indiani dell’Ongc. Il giornale di Lagos sottolineava che “le major europee e nordamericane stanno cercando di lasciare la Nigeria”. Così un paio d’anni fa ben quattro giacimenti della Shell venivano ceduti per un miliardo e mezzo di dollari: i nordamericani di ConocoPhillips lasciavano il campo a cinesi e indiani, e il governo di Lagos s’impegnava a liberare la zona dagli indigeni per un raggio di cento chilometri attorno alla zona estrattiva. Naturalmente venivano assunti operai, ma tutti cinesi e indiani. Così migliaia di nigeriani iniziavano la migrazione verso il nord Africa.
Il quotidiano “Business Day” di Lagos diceva che “all’origine di queste decisioni ci sono fattori differenti. Peserebbero sabotaggi da parte di bande armate e incidenti dovuti all’obsolescenza degli impianti che costerebbero ogni giorno all’industria circa 150mila barili”. Di fatto, da un lato c’è la volontà occidentale di ridurre gli investimenti per mantenere alti i dividendi per gli azionisti, dall’altro c’è la necessità che a speculare in queste aree siano strutture finanziarie super aggressive (come quelle rappresentate da Soros) e multinazionali cinesi e indiane.
Il risultato è “Furore”, l’omonimo libro John Steinbeck e poi film di John Ford (nella foto una scena tratta dal film), che narra come durante la depressione del ’29 venivano espropriate fattorie e beni e con loro le vite umane: Senza altra scelta numerose famiglie migravano con l’illusione di trovare una terra promessa, ma conoscevano solo sfruttamento, fame e morte. Un dramma che si ripete, e ci fa meraviglia che certi governanti di casa nostra non sappiano la verità su questa migrazione. Pare venga paragonata dagli addetti ai lavori delle multinazionali al metodo usato negli Usa dell’Ottocento per trasferire le mandrie, o sospingere i bisonti oltre la ferrovia.
Aggiornato il 01 settembre 2017 alle ore 19:25