
C’è un partito ombra, un raffinato partito degli affari, che silenziosamente gestisce le scelte del Comune di Roma. Un partito che conta su personalità al di sopra di ogni sospetto: per esemplificare, i condannati del processo denominato “Mafia Capitale” sono stati i portieri del palazzo degli affari (raccoglievano le briciole), mentre chi sta indirizzando la privatizzazione dell’Atac e municipalizzate varie è il “nobiluomo” padrone del Palazzo. Quest’ultimo ha interesse che vengano esternalizzati tutti i servizi essenziali, per dare vita a una guerra degli appalti di cui i signori del palazzo risulterebbero gli unici arbitri.
Dietro la privatizzazione dell’Atac, società di proprietà comunale concessionaria del trasporto pubblico nel comune di Roma (sono occupati circa 12mila lavoratori e gli autisti sono circa 6mila) covano gli appetiti dei lobbisti a servizio degli stessi gruppi finanziari che hanno agevolato l’ascesa di Uber in tutto l’Occidente. A questi gruppi interessa smantellare l’intera struttura storica del trasporto pubblico (ovvero municipalizzate e cooperative di tassisti) per ottenere il totale subentro delle multinazionali del trasporto privato, le stesse che gestiscono i noleggi lungo termine per pullman e grandi vetture per Ncc (trasporto con conducente). Per accelerare la morte del trasporto pubblico, da circa un paio d’anni si vocifera che vertici dell’Ue abbiano chiesto alla dirigenza italiana delle Infrastrutture e al Comune di Roma di bloccare ogni vettore, sia su rotaia che su gomma, per permettere la messa a norma europea di pullman e treni, nonché di stazioni e preferenziali. Una sorta di blocco che manderebbe in tilt, per almeno due mesi, la mobilità romana, costringendo il Comune ad aprire le porte al cavallo di Troia: ovvero il nemico del servizio pubblico, quei privati che hanno motivato e sponsorizzato il referendum sulla privatizzazione dell’Atac.
Con la privatizzazione, oltre a venire compressi i diritti sindacali di tutti lavoratori, verrebbe svincolato il prezzo del biglietto dal calmiere dell’ente locale: non dimentichiamo che le grandi aziende private operano sul biglietto la stessa legge che regola il costo chilometrico, ovvero in proporzione ha un prezzo minore il biglietto su gomma o treno della tratta Roma-Milano che quello relativo allo spostamento in città, fosse anche per una sola fermata. Obiettivo di questi colossi privati è aggiudicarsi su Roma non solo il trasporto ma anche la gestione dell’intero portafoglio parchimetri. Qui salta fuori l’ipotesi di un valore orario unico per trasporto e sosta: ovvero i privati imporrebbero due euro l’ora per parcheggiare, e altrettanti due euro per utilizzare per un’ora bus, metro e treni in convenzione. Per facilitare la fine del pubblico servizio, viene così montata la campagna mediatica (senza esclusione di colpi) contro i lavoratori dell’Atac e anche inventando favole sullo storico dopolavoro ferrotranviario. Ecco che la politica, imbeccata dai privatizzatori, suggerisce l’“aumento dell’orario di lavoro a fronte di una diminuzione della retribuzione e chiusura di ogni struttura dopolavoristica”.
Del resto le campagne contro i lavoratori delle municipalizzate e degli enti locali romani vantano una lunga tradizione: non c’è quotidiano o tiggì che non abbia battuto la grancassa contro Atac, Cotral e Ama. Campagne d’odio recentemente sfociate anche in aggressioni contro macchinisti, autisti e controllori. Non dimentichiamo che durante la giunta comunale guidata da Ignazio Marino emersero le intenzioni di cedere a un imprenditore cinese (lo stesso che ha aperto linee di credito a Uber) l’Atac. Volontà che emersero chiaramente a luglio di due anni fa, quando Marino e Zingaretti annunciavano che “da oggi Comune-Regione-Atac si impegneranno a cercare un partner industriale mantenendo la maggioranza pubblica dell’azienda. In questo modo anticipiamo l’avvio di un processo nazionale che impone di non gestire più il servizio in house a partire dal 2019”.
L’operazione fa parte del programma di progressivo spostamento verso “entità sovranazionali” di quote rilevanti dei poteri nazionali e locali, nonché di pezzi importanti del patrimonio pubblico. Alla base del referendum per privatizzare l’Atac c’è la missiva inviata nell’estate 2011 dalla Banca centrale europea al Governo, in cui s’affermava che è “necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala”, e si sottolineava “l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”.
Lo smantellamento dello Stato sociale passa soprattutto attraverso politiche di austerity, che abbattono la spesa di trasporti, sanità, istruzione, previdenza... In questa logica muore il servizio pubblico e i cittadini da utenti vengono declassati in semplici clienti. Dettagli che poco interessano alla signora Michela Allegri che, elencando su “Il Messaggero” del 2 agosto i vari costi del servizio pubblico, sottolineando i servizi del dopolavoro ferrotranviario, ha volutamente gettato discredito su una storica azienda romana. Inconsapevolmente (almeno si spera), la Allegri ha aiutato sia il referendum radicale che chi vorrebbe trasformare l’utenza ferrotranviaria romana in un popolo di clienti dei bus privati.
Aggiornato il 03 agosto 2017 alle ore 20:25