Vedi Napoli e poi muori. Non è solo un modo di dire, ma un pensiero diffuso. Tanto diffuso che “The Sun”, accorsato tabloid britannico, colloca la città partenopea nella speciale classifica dei dieci posti più pericolosi al mondo. Al pari di Raqqa, di Grozny e di altre amene località. Gli inglesi esagerano.
Napoli non sarà il paradiso che potrebbe essere, ma neppure l’inferno che viene descritto. Nella capitale del Sud le cose non vanno bene da un pezzo. A dirla tutta, vanno piuttosto male ma per motivi che travalicano il dato statistico dell’incidenza della criminalità nella vita civile della città. Più che pericolosa, Napoli è immobile. Particolarmente a riguardo della capacità produttiva. C’è una superficie che brilla, costituita dalla forza attrattiva del turismo trainato dalla bellezza del suo patrimonio artistico-paesaggistico, ma dal fondo traspare l’incapacità “antropologica” a investire che è la cifra di una borghesia cittadina vocata storicamente alla rendita, mobiliare e fondiaria, piuttosto che all’intrapresa economica. La realtà è che per creare ricchezza si muove poco danaro privato, a meno che non sia quello proveniente dal malaffare della criminalità organizzata che deve circolare velocemente per essere riciclato. Il tessuto medio imprenditoriale, per attività che esuberano dalla gestione del corrente, tende a trasferire il rischio alla mano pubblica.
A Napoli l’occupazione regolare langue, quando non arretra, mentre prospera l’arte dell’arrangiarsi che è una categoria concettuale più complessa e sfaccettata di quella rubricabile alla voce “lavoro nero sommerso”. Auto fuoriserie e televisori d’ultimissima generazione sono all’ordine del giorno anche nella città bassa, formalmente povera, eppure non tutti questi beni del lusso provengono da attività criminali. C’è un mondo borderline nel quale i quattrini si fanno senza chiedere come. Con quei denari che sono “attimi fuggenti” si aiuta a tenere in piedi una realtà da sempre sul punto di esplodere ma che non scoppia mai. “’O napulitano se fa sicco ma nun more”, è il motto che dovrebbe campeggiare sul frontone del duomo cittadino, un palmo sopra alla statua del santo patrono Gennaro chiamato dal suo popolo impastato di passionale carnalità, a dispensare grazie ingenuamente balsamiche, ma inutili. Napoli dalle movenze levantine. Napoli è più un suk di culture miscelate che non ha fretta di avanzare e meno una casamatta della civiltà avanzata (dove, quando, perché?). Napoli, primo avamposto del Sud del mondo sopra il quarantesimo parallelo dell’emisfero boreale. Napoli, come diceva Edoardo Scarfoglio, unica città dell’Oriente a non avere un quartiere occidentale.
Non sarà quest’incanto ma neppure l’inferno in terra. Segno che quelli del “Sun” si sono affidati un po’ ai luoghi comuni e un po’ alle statistiche per tirare fuori una classifica alquanto bugiarda. Forse hanno prestato orecchio ai “pistolotti” di Roberto Saviano sulla corruzione della politica, forse si sono appassionati alla fiction “Gomorra”. E anche al suo sequel. Più verosimilmente hanno saputo delle ricerche accademiche sul crimine che non mettono in buona luce la città. Lo scorso anno è stato diffuso un rapporto sulla criminalità e la sicurezza della città realizzato dai professori Giacomo di Gennaro dell’Università Federico II e Riccardo Marselli dell'Università Parthenope. L’indagine, che elabora un indice criminale in base a specifiche fattispecie di reato quali gli omicidi e le rapine, assegna a Napoli il primato nazionale della criminalità violenta nel periodo di osservazione compreso tra il 2004 e il 2013. Può darsi che questo dato abbia influenzato più del dovuto i valutatori del “The Sun”.
La verità è che Napoli, nel bene e nel male, è la risultante della sua storia, stracarica di contraddizioni e di occasioni sprecate e fa sorridere che la classe politica locale si senta offesa dal trattamento ricevuto dal tabloid britannico. Pensassero piuttosto, il sindaco Luigi de Magistris e i suoi sodali, a fare al meglio il lavoro che gli è stato affidato dai concittadini invece di arrampicarsi sugli specchi della polemica per controbattere valutazioni empiriche che lasciano il tempo che trovano. Ai luoghi comuni si risponde con i fatti e non facendo gli offesi. Perché se le chiacchiere avessero mercato, Napoli sarebbe milionaria e “Giggino ‘o sindaco” Paperon de’ Paperoni.
Aggiornato il 20 luglio 2017 alle ore 10:44