Di Matteo in politica con M5S, ovvero più forca per tutti

“Ci manca solo di mettere il teorema della trattativa Stato-mafia come peccato originale dell’Italia direttamente in Costituzione”. Qualche buontempone su Facebook ha commentato così la conferma del primo grande nome della campagna acquisti per le politiche  di Grillo per il Movimento cinque stelle: il pm antimafia Antonino di Matteo, di recente trasferitosi a Roma alla Direzione nazionale antimafia.

La notizia buona è che Di Matteo lascia la toga per sempre, almeno queste sono le parole ribadite da lui anche al quotidiano di Torino. Quella cattiva (ma sarà davvero così?) è che prenderà il posto di Marco Minniti, al Viminale, in caso di vittoria pentastellata. Un ministro di polizia insomma. Intanto il 25 luglio l’investitura formale gliela darà Virginia Raggi, non popolarissimo sindaco di Roma, con l’attribuzione della città onoraria della Capitale per meriti antimafia.

Un copione scontato che non è detto giovi molto alle fortune politiche di Di Matteo. Grande king maker (si fa per dire) di questa candidatura è il deputato Alfonso Bonafede, uno che talvolta sembra faccia a cazzotti con il proprio cognome nei talk-show televisivi, braccio destro di Luigi Di Majo e presentatore ufficiale del programma giustizia dei grillini.

Il pensiero di Di Matteo ministro, che sieda al Viminale o a via Arenula, è semplice e lo riassume lui in una risposta della su menzionata intervista: “La lotta al sistema mafioso e corruttivo, e questo quale che sia il colore del governo. Finora i governi non hanno mai dimostrato di considerare una priorità assoluta la lotta al sistema criminale integrato. I dati relativi al numero dei detenuti condannati per corruzione conferma che la lotta alla criminalità è a due velocità”.

In pratica, “più galera per tutti”. In quest’ottica è come se il presidente della Commissione antimafia lavorasse per lui nello spingere questa legge che molti definiscono assurda che vorrebbe estendere agli indiziati di corruzione all’interno di associazione a delinquere semplice le misure di prevenzione antimafia. Quali il sequestro e la confisca preventiva dei beni dell’indiziato. E per come abbiamo visto funzionare la gestione dei beni anti mafia in Italia questo equivarrebbe a dire che un indiziato per corruzione, anche se assolto, si ritroverebbe comunque sul lastrico. Sia come sia, adesso chi vota i grillini sa cosa l’aspetta: un altro pm di ferro in politica. Con tendenzialmente una visione del mondo autoritaria dove non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti. E con il solito fine della lotta al male nel mondo che giustifica qualunque mezzo per perseguirlo.

Il tutto in un Paese dove le carceri sono peggio delle discariche gestite dalla camorra, dove due detenuti su tre sono malati e in attesa di giudizio (a volte per anni) e della loro salute sembrano disinteressarsi tutti, come della loro eventuale rieducazione, fatta eccezione per quei quattro gatti dei radicali. Transnazionali e non. Le armi che verranno messe a disposizione di ministri come Di Matteo saranno la totale mancanza di prescrizione, un uso ancora più esteso e invadente (e mediaticamente orchestrato) delle intercettazioni. Il tutto condito con la retorica apodittica di chi vuole vendere all’opinione pubblica una specie di San Giorgio contro il drago mafioso. Un paladino del bene che combatte con la scorta e il blindato con i cingoli il male di un Paese che per postulato si vuole mafioso dalla sua nascita.

È la legalità propagandata da Grillo con i coretti “onestà!”, “onestà!”.

Aggiornato il 19 luglio 2017 alle ore 09:48