Che all’ipocrisia dialogica dei “papaveri” europei nei nostri confronti nulla sarebbe seguito, era scontato. Quando nulla si conta, nulla si ottiene. Dispiace, oltretutto, che l’apprezzabile cipiglio di Marco Minniti sia così palesemente mortificato. Spiace per il ministro, ma, soprattutto, per l’Italia e per tutti noi italiani, che, costantemente, siamo maltrattati da una conventicola di “tromboni”, ai quali scelleratamente ci siamo sottomessi. Guardate, cari amici, qui non si tratta più di riflettere sull’Euro, sul Patto di stabilità e crescita e quant’altro, si tratta di riflettere sulla nostra posizione in Europa.
Parliamo di voce, potere contrattuale, peso specifico, autorevolezza, vis politica. Insomma, della capacità di un Paese di farsi ascoltare, rispettare, esaudire. È questo un nodo fondamentale per il futuro dell’Italia di fronte ai problemi, alle scelte, ai fenomeni e ai cambiamenti, che così velocemente si vanno manifestando. Ecco perché la vera questione, a questo punto della nostra storia, non è e non può essere più solamente quella della moneta unica. L’Euro, infatti, è un mezzo di scambio, una unità di conto che attribuisce un prezzo ai beni e ai servizi. Insomma, una riserva di valore, ma di quale valore?
Al di là della moneta, il valore che veramente conta è quello del sistema Paese, della sua forza contrattuale, del prestigio di cui gode, della capacità di farsi seguire e di esprimere autorictas. Ed è proprio su tutto ciò che noi non esistiamo, non contiamo, non siamo in grado d’incidere e la scelta di negare altri porti agli immigrati ne è la plastica testimonianza. Sia chiaro, la colpa di tanta debolezza e subordinazione è antica e risale all’incapacità di imporre, sin dall’inizio, un cambio lira-euro diverso da quello che fu. Da allora l’elenco delle cose che ci hanno visti sottomessi e incapaci di incidere è lunghissimo. Dal sistema delle quote all’interpretazione degli investimenti, dalla previdenza ai vari Basilea, dal bail-in al Fiscal compact, dagli Eurobond agli immigrati.
Una sequela di flop inanellati che ci hanno visti soccombere ai desiderata della Germania, dell’asse franco-tedesco, dei poteri forti della Ue. Insomma, ci hanno offerto un po’ di tolleranza sul debito, qualche decimale di flessibilità, alcune moratorie ininfluenti, in cambio della perdita di ogni capacità d’imporsi. Ecco perché il no all’apertura dei porti europei per l’accoglienza, non è e non può essere altro che la conferma di tutto. Qui non si scherza. Su questo aspetto ci giochiamo il Paese, la sua storia, la sua identità, il peso della sua presenza, il senso della sua importanza e del suo futuro. In buona sostanza, ci giochiamo “l’essere Italia” e la capacità di farci rispettare senza se e senza ma. Non è un capriccio, un’impuntatura, una bizzarria da frustrazione, è solo ed esclusivamente il significato della nostra presenza e appartenenza alla Ue, punto.
Ecco perché è giunto il momento di riflettere e decidere cosa fare, cosa dire, come reagire e come proporsi di fronte ad un’Europa che fa i “sorrisetti” ai nostri premier e ci riempie di encomi ipocriti. Questo è il vero Nodo di Gordio e non la moneta oppure i vincoli dei numeri. È una questione enorme di natura politica, di prassi nazionale, di autonomia e importanza di uno Stato membro. Non decidere di farci finalmente sentire, di alzare la voce, di avere la forza per una scelta autonoma, alternativa e democratica che ci tuteli e difenda, stavolta potrebbe essere esiziale.
Aggiornato il 07 luglio 2017 alle ore 22:45