
Matrimonio o mercimonio populista? Ovvero, i timori e gli auspici per una post-alleanza elettorale tra Partito Democratico e Forza Italia sono davvero fondati? Non è un problema di poco conto, a pensarci bene. Perché nel nuovo sistema elettorale in dolorosa e faticosa gestazione (per ora pasticciato assai, occorre dire: un proporzionale alla tedesca imbrogliato alla latina, che non assomiglia in nulla all’originale inquadrato in una Costituzione senza increspature o pieghe da vecchiaia che dir si voglia), ci sono molti attori che si vorrebbero esclusi, ghigliottinati dalla per nulla generosa soglia del 5 per cento - ma l’8 per cento, a mio avviso, sarebbe stata molto più adatta a questa Italia dei mille litigi. Da i “cespugli” di sinistra, centro e destra, infatti, potrebbe venire a sorpresa una reazione vincente, anche se più o meno scomposta dati i tempi accelerati con cui si vorrebbe anticipare il voto in autunno. A guastare la festa della sognata “Gross-Koalition” da parte del binomio che Marco Pannella, bontà sua, ebbe a definire di “Renzusconi” ci potrebbero essere le incognite del voto cattolico tradizionale, che un tempo andava ad alimentare le filiere elettorali di destra-centro, come di sinistra-centro.
C’è da dire che le seconde sono oggi molto più robuste delle prime e convergono sulla minigalassia politica che si sta addensando attorno alla figura dell’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. E sono pezzi molto importanti del defunto Ulivo a riconoscersi in un nuovo centro gravitazionale a sfondo rosa-socialdemocratico, che fanno riferimento alle figure più carismatiche di Romano Prodi, Enrico Letta, Francesco Rutelli e altri. Se dovessero chiamare a raccolta i voti sparsi della loro potenziale area elettorale, a Renzi non sarebbe di certo sufficiente nemmeno una soglia capestro dell’8 per cento. E se così fosse, il “dopo” (molti nell’attuale Pd sognano un’alleanza con la nuova sinistra dei fuoriusciti!), a urne chiuse, sarebbe un massacro serio per Renzi, alle prese con un Partito riottoso che da sempre, in fondo, preferisce a un “capo” un organo collegiale direttivo paritetico in cui si prendono le decisioni che contano. Ecco perché oggi la partita vera non è sul sistema elettorale teorico ma sulla libertà del capo di candidare i suoi fedelissimi in collegi elettoralmente sicuri. Pannella - sempre lui - sosteneva che solo l’uninominale secca all’inglese (chi prende anche un solo voto in più si porta a casa il seggio parlamentare, senza ballottaggi e trattative sottobanco di sorta), all’interno di collegi piccoli e omogenei territorialmente, avrebbe potuto garantire il tanto auspicato ritorno (a parole!) a un sano rapporto diretto tra eletti ed elettori.
Aspetto, quest’ultimo, che necessita per la sua ricostituzione di tempi molto più lunghi di una semplice tornata elettorale. Decenni di liste bloccate e di partiti personali (malgrado le apparenze, sono tali “anche” M5S e Lega!) hanno definitivamente consumato la possibilità teorica di un ripristino alla normalità della regola democratica. La ragione, va detto, è semplicissima: scomparsi i grandi Partiti-Chiesa (Dc, Pci e in parte Psi) con la loro territorializzazione capillare in sezioni e in sottogruppi coesi interni di rappresentanza (coagulatisi attorno al deprecabilissimo fenomeno dei pacchetti di tessere e della cabala combinatoria delle preferenze multiple!), gli attuali Partiti hanno solo un’enorme testa (quella del capo e della sua ristretta cerchia di fiduciari) e un corpo esile e atrofizzato. Ridare linfa a tutto ciò significa resuscitare un Frankenstein. Tanto più che la democrazia diretta alla grillina maniera si è rivelata un disastro totale, a malapena controllato e gestito in emergenza dal suo “Garante”. Mi chiedo, quindi, quale differenza ci sia tra Grillo, Berlusconi e Renzi, per citare i principali. Matteo Salvini e Giorgia Meloni, infatti, almeno all’apparenza pretendono di avere davvero un “popolo” che si riconosce per il primo nei territori amministrati dalla Lega.
Ma anche i resti assai poco angelici e famelici di “Angelino-senza-quid” sono alla ricerca di un portentoso unguento collante che, partendo da un Meridione clientelare residuale (reso tale dalla drastica riduzione della spesa pubblica e dei suoi interventi “a pioggia”) abbandonato dalla sinistra, ormai più incline a riconoscersi nei ceti medi borghesi e dei garantiti di questo Paese, vada a sparigliare i giochi di Renzusconi e di Grillo. Ma vuoi vedere che - al contrario di quanto sostiene il professor Luca Ricolfi - i populismi di destra (Lega-FdI) e quelli di sinistra (M5S soprattutto) sapranno allearsi in Parlamento a danno di tutti gli altri? In fondo, le due “chiusure”, di cui la prima vuole contrastare la globalizzazione con più protezionismo per imprenditori e operai disoccupati, mentre la seconda intende “mettere le porte” a un perimetro senza barriere per selezionare i flussi migratori selvaggi, potrebbero decidere di non pestarsi i piedi sui programmi concreti per realizzare assieme le cose da fare, in termini antieuropeisti, antiglobalizzazione e anti immigrazione. Certo, come sempre, “Chi vivrà vedrà”.
Aggiornato il 08 giugno 2017 alle ore 23:36