
È sempre uno spettacolo, e pure l’ascolto con video, del cosiddetto stato maggiore del Movimento 5 Stelle a proposito dei temi grandi e piccoli della nostra povera Italia. Parliamo dei temi politici, of course, ché degli altri anche i pentastellati se ne sono ampiamente stufati. Volano alto, altissimo. Perché si sentono, come dire, investiti di una missione superiore, di un impegno che sta sopra, che sta avanti e che si chiama politica.
Cosicché, basta prendere le dichiarazioni di due qualsiasi di questi massimi dirigenti e viene subito alla mente il detto del sublime Totò: ma mi faccia il piacere! Lo diciamo così, tanto per non buttarla sul serioso almeno da quando proprio loro, i grillini, hanno smesso di promettere sfracelli contro tutto e contro tutti gli altri riassumibili filosoficamente nell’indimenticabile invettive del “vaffa”... Ce la vogliono far dimenticare assumendo quell’aria professorale alla Luigi Di Maio, detto anche lo statista che tutto il mondo ci invidia, per scandire promesse, programmi, precetti, obblighi, impegni, e massime varie. Per quando saranno al governo, si capisce. In un colpo solo, il Di Maio si è lanciato in una programmazione (loro) prossima ventura del tipo: reddito di cittadinanza per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro, piano di grandi investimenti pubblici nei settori innovativi, rilancio alla grande della sanità pubblica e, naturalmente, dei beni comuni, basta con la logica del profitto e delle privatizzazioni, alleggerimento del carico fiscale per le Pmi, creazione di una banca pubblica, abolizione del Fiscal compact, adozione degli Eurobond, abolizione del pareggio di bilancio, abbassamento dell’Iva e altre cosette.
Candidato da Grillo - dicono i più alla guida del prossimo governo - il Di Maio sarebbe uno dei più simpatici Premier “cacciaballe” come si dice a Milano, ben più scatenato di quelli che loro, i grillini, tacciano con disprezzo come i “liquidatori della Prima e della Aeconda repubblica”. Forse, anzi senza forse, perché questi ultimi almeno ai finanziamenti dei progetti ci pensavano e poi li realizzavano (ma guai a ricordarlo al nuovo maestro di vita e di pensiero.
Ipse dixit, dunque. Ma al suo fianco si sta stagliando una nuova figura di statista, impegnato sul fronte complesso e frastagliato delle istituzioni. Da rinnovare, pardon, da cambiare, e da cima a fondo, mi raccomando. Anche con questo personaggio, tanto di cappello, soprattutto nel campo della coerenza, della fermezza, nella solidità, delle urlate convinzioni. Di prima, non di adesso. Esempi? Un florilegio, ma per non annoiare e annoiarci, fermiamoci sul tema delle preferenze. Le ricordate? Ricordate come l’urlo dell’indimenticabile “V-day” di dieci anni fa (sembra davvero ieri) faceva delle preferenze l’obbligo morale ancora prima che politico del tonitruante boss manco si trattasse di un impegno assunto coram populo, di una promessa sacra, di un programma sine qua non? E guai da dire loro, sommessamente, che una cosetta del genere va comunque decisa con gli altri? Ma va là, rispondevano minacciosi: noi tireremo dritto.
Infatti il volonteroso Danilo Toninelli, delegato a quella cosuccia che si chiama legge elettorale, e calatosi inopinatamente nel ruolo di mediatore - con gli altri e con chi se no? - ha letteralmente ignorato il voto di preferenza buttandolo nel cestino e con la solenne affermazione che “esistono equilibri politici da tenere in considerazione”, poi ha aggiunto a “La Stampa”, con fare sornionamente e diplomaticamente giustificatorio: “Mi sembra chiaro che a loro, gli altri, le preferenze non piacciono”. Intendiamoci, ha ricordato che comunque “le preferenze per noi sono un Mantra!”. Poteva risparmiarsela questa, ma non ce l’ha fatta. Consoliamoci col Principe De Curtis, in arte Totò.
Aggiornato il 06 giugno 2017 alle ore 21:28