Il nuovo carcere di Nola tra burocrazia e illusioni

Non abbiamo ancora avuto esiti o resoconti di stampa riguardanti il dibattito che si tenuto pochi giorni fa al Convento di Santo Spirito a Nola sul tema “Spazio della pena, quale carcere per Nola”. Certo è che si è riunita buona parte di coloro che in vario modo hanno avallato l’attuazione di questo mostro architettonico, portandone sulle spalle una qualche responsabilità. Il nuovo carcere di Nola rimarrà scolpito nella storia negativa dell’edilizia carceraria alla faccia di quanto declamato nei tanti buoni propositi, gli annunci, le passerelle dei sedicenti archistar, ove molto è stato detto e scritto negli Stati generali dell’esecuzione penale, ma poco e male (dopo) è stato fatto. È più che evidente che le passerelle che sul territorio nolano sono fatte servono a gettare acqua sul fuoco a fronte delle tante critiche che da più parti vengono rivolte al progetto, ai progettisti e in ultimo all’apparato politico-burocratico che contraddice se stesso circa le decisioni assunte in merito ai buoni propositi destinati ad una nuova concezione della detenzione.

In tal senso non valgono le giustificazioni burocratiche, né tantomeno alcune fantasiose descrizioni del progetto che non servono ad attenuare le responsabilità oggettive di un apparato che nel suo complesso ha sostenuto un progetto costoso, ingestibile e di troppo vecchia concezione. L’assenza del coordinamento sistemico tra le decisioni tecnico progettuali e la chiarezza di obiettivi sul significato dell’esecuzione penale in linea con gli Stati generali, insieme alla distanza di un pur vago indirizzo politico, hanno consentito l’attuazione della gara relativa al megamostro nolano.

Un obbrobrio in primo luogo sociologico e poi economico/gestionale, destinato a una comunità di oltre 1200 detenuti. Numero sicuramente destinato ad aumentare viste le “necessità” del sovraffollamento in continua crescita data la carenza di strutture adeguate, unita ai ritardi programmatici.  Un intervento edilizio, che nonostante le migliori descrizioni che da parte degli autori responsabili del progetto sono state rese, non riesce ad ingannare alcuno circa le preoccupanti disattenzioni concernenti l’impostazione funzionale e formale prescelte nell’organizzazione progettuale.

Viene il dubbio che l’elefantiaco apparato burocratico della funzione pubblica, per sua natura limiti la capacità di capire e risolvere i problemi, a causa della cronica mancanza di una cultura sistemica necessaria alla condivisione delle conoscenze tra i diversi settori, uffici e funzioni.

Questo è il caso di un perverso modo di concepire e promuovere anche gli interventi più sbagliati facendosi scudo della cosiddetta competenza di settore, che dietro lo schermo della prassi politico/amministrativa assolve se stesso e qualsiasi operazione quando ben incastrati nel rigido mosaico burocratico. Da qui la conseguente “deresponsabilizzazione di individui e interi uffici, come sostengono Lippi e Morrisi nel loro ‘Scienza dell’Amministrazione’ (Il Mulino - Bologna 2005), dinnanzi alla soluzione di problemi che esulano dalla stretta definizione del compito, a causa della tendenza di ciascuna mansione o ufficio a svolgere i propri compiti ignorando la logica dell’azione collettiva e lo scopo dell’amministrazione.

In tal senso spontaneo e sempre più forte viene il dubbio che l’apparato non intenda “risolvere” il problema in quanto a risoluzione avvenuta verrebbe meno la sua stessa finalità e ragione di esistere. Il progetto del carcere di Nola risolve purtroppo tale dubbio anteponendo la prassi burocratica e gli interessi connessi alla sua inamovibilità, con la copertura ideologica dei vari esperti di settore all’uopo chiamati a garanzia  concettuale.

(*) Lidu Olus - Presidente Commissione Diritti della persona privata della Libertà

Aggiornato il 30 maggio 2017 alle ore 11:36