Il sacrificio di Giovanni Falcone, patrimonio morale di legalità

Venticinque anni fa la storia d’Italia venne squarciata dall’infame boato dell’esplosivo che fece saltare in aria l’autostrada A29 all’altezza di Capaci. Il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, e la sua scorta stavano transitando lì quando furono letteralmente spazzati via dalla deflagrazione.

Una tragedia che segnò il nostro Paese, uno spartiacque tra mafia e antimafia, tra male e bene, tra nero e bianco. Temporeggiare era proibito, lo Stato doveva reagire. E lo fece anche perché gli italiani sentirono forte il richiamo alla giustizia. Quella bomba esplose nelle coscienze di chi aveva girato troppe volte lo sguardo altrove di fronte ai soprusi della malavita. Da quella crepa sull’asfalto e dall’orrore di un attentato che lasciò sul campo gli eroi della lotta alla mafia, emerse forte un germoglio di legalità che inesorabilmente avrebbe pervaso la nazione intera. L’impegno di Giovanni Falcone e il suo sacrificio ha avuto come riflesso non calcolato dalla malavita quello di alimentare la risposta della coscienza civile. Da quel 23 maggio di 25 anni fa, in tutta Italia e soprattutto in Sicilia i cittadini hanno imparato a non piegare la testa, a non avere più paura di dire no ai soprusi e alla violenza. Mai i malvagi ideatori di un così vigliacco attentato si sarebbero immaginati un sentimento di repulsione così profondo e diffuso, al posto del terrore e dell’assoggettamento alla loro trivialità.

Ma sarebbe sbagliato se restassimo sulla mera celebrazione di evento e del suo ricordo. La figura di Falcone, la sua attività di contrasto alla malavita organizzata è stata presa a modello ed è entrata a far parte delle nostre coscienze, della nostra vita di ogni giorno. La strage di Capaci, strettamente collegata con quella in cui morì un altro grande magistrato della lotta alla mafia, Paolo Borsellino, devono necessariamente uscire dalla ricorrenza ed entrare a far parte del comune patrimonio civile e umano del Paese. Ciò vuol dire contrastare l’idea stessa di criminalità e malavita nella quotidianità di cittadini e istituzioni. Se i cittadini devono trovare il coraggio di ribellarsi ai soprusi e alle sopraffazioni, lo Stato e la società devono saper impegnarsi nelle attività a sostegno della legalità. Promuovendo l’associazionismo e incentivando tutte quelle azioni istituzionali volte a depotenziare il crimine e la sua pervasività fatta di facili guadagni, corruzione, veloci scalate al potere, effimero successo. Solo rendendo non più attraenti questi antivalori, la mafia e ogni sua declinazione perderanno il loro malefico richiamo. Se è più conveniente agire in positivo, senza scorciatoie e compromessi, tutto il suo opposto sarà naturalmente messo all’indice, bandito, scartato.

Presso il Consiglio regionale del Lazio dove sono eletto esiste la “Commissione consiliare speciale sulle infiltrazioni mafiose e sulla criminalità organizzata nel territorio regionale”. Ho fortemente voluto farne parte, e con orgoglio sono membro di un organismo che reputo fondamentale per il monitoraggio e l’attività stessa della Regione Lazio. La mafia non esiste solo in Sicilia e al Sud, è cosa nota, ma ha tentacoli ovunque sul territorio nazionale. Soprattutto, trova ogni volta nuove forme di espressione e di esercitare pressione a fini di profitto e guadagno. E’ una piovra che cerca di arraffare ovunque. E lo fa senza scrupoli. Per questo è imprescindibile un controllo costante in ogni direzione, dall’edilizia all’ambiente, dall’imprenditoria ai rifiuti fino alla sanità. Senza abbassare la guardia nemmeno sull’assegnazione dei locali sottratti alla mafia stessa. Spesso proprio in questo settore si sono generati dei meccanismi opachi che le istituzioni stesse hanno incentivato con assegnazioni dei locali senza bandi e altri addirittura lasciati in stato di abbandono perché mai riutilizzati a fini sociali. Oltre ai convegni e alla sensibilizzazione delle nuove generazioni le istituzioni locali, comuni e regioni, dovrebbero svolgere il loro dovere sui beni confiscati alla mafia dandoli a chi fa opere di bene dando un segnale di presenza dello Stato in quei luoghi che prima erano zone franche dedite alla malavita. Per sostenere la Magistratura e le Forze dell’Ordine nella lotta alla criminalità organizzata servono fatti e non solo chiacchiere per questo ho voluto impegnarmi in prima persona facendo parte di una commissione che se fatta lavorare nel verso giusto può essere fondamentale per tutti i cittadini della Regione Lazio.

Un’azione di contrasto e vigilanza che continua a essere ispirata dalla frase più famosa del giudice Falcone: “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”, ormai patrimonio morale comune di tutti gli italiani perbene.

(*) Consigliere regionale del Lazio membro dell’Assemblea Nazionale di Fratelli d’Italia

Aggiornato il 23 maggio 2017 alle ore 18:48