
Ed è lo Stato italiano che deve assicurarlo. Standole vicino, soprattutto economicamente, ma pure psicologicamente. E non trattando gli assassini riconosciuti colpevoli come criminali privilegiati rispetto agli altri. Perché nel Paese che vorrebbe condannare Buzzi e Carminati a 28 anni di reclusione per reati corruttivi e, forse, associativi mafiosi, ci sono anche autori di quelli che oggi si chiamano “femminicidi”, parola che alla fine degli anni Ottanta non era in voga, che se la cavano con 10 anni e sei mesi, di cui meno di cinque scontati in carcere.
Proprio per questo motivo il senatore di Forza Italia Giovanni Mauro sta incoraggiando le vittime della violenza domestica e delle rapine in appartamento a mettersi assieme in un’associazione. Che si muova affinché da una parte venga recepita in pieno la Direttiva 80 della Ue, che proprio di casi come quelli loro si occupa, e che in Italia è stata “applicata” con la legge 122 del luglio 2016 che è il solito pannicello caldo, e dall’altra perché le vittime di questi reati di sangue possano avere una più alta considerazione giuridica.
Magari con il diritto di dire l’ultima parola sulla concessione di libertà anticipate “a go-go” per gli autori di questi reati. Un po’ come capita da sempre negli Stati Uniti in cui sono le vedove o gli orfani dei morti ammazzati a potere concedere quel perdono cui seguirà quello dello stato. E, per fare un esempio, la vedova dell’ex beatle John Lennon, ucciso l’8 dicembre 1980 vicino casa propria da un fan esaltato, Mark Chapman, quel perdono non lo ha mai concesso. E infatti Chapman sta ancora dentro a 37 anni da quell’omicidio che fece piangere, oltre a Yoko Ono, i fan di un’intera generazione.
“L’Opinione” ha incontrato tre vittime di questi criminali che invece in Italia godono spesso di inauditi sconti di pena. Tre persone che non sono state risarcite né da chi ha causato loro un dolore impossibile a descriversi, come la perdita di una figlia o di un marito, né tantomeno dallo Stato. Che non ha mai pensato per loro a farsi carico dei risarcimenti, un po’ come accade per le vittime della mafia o del terrorismo. Vittime di serie B, quindi. E così si sentono persone come Federica Pagani, Gigliola Bono e Fabio Misuri. Incontrate proprio in un palazzo del Senato, quello assegnato al senatore Giovanni Mauro.
Federica Pagani, vedova di Pietro Raccagni, ricorda ancora bene, come se fosse ieri, quella notte tra il 7 e l’8 luglio del 2014. Quando nella villetta di Pontoglio in cui il macellaio viveva con la moglie, scoprì il tentativo di furto. Invano aveva tentato di impedirlo per proteggere la famiglia: fu infatti colpito al capo con una bottiglia di vetro lanciata da uno dei malviventi. Dopo 11 giorni di agonia, morì in ospedale. Tempo dopo vennero condannati quattro albanesi specializzati nelle rapine in villa al Nord (pene tra i 14 e i 16 anni, peraltro inasprite in appello nel settembre 2016, in primo grado furono più basse). Oggi la signora Pagani, una delle promotrici dell’iniziativa sponsorizzata dal senatore Mauro e dalla Radaelli è assessore a Brescia, eletta in una lista civica con il centrodestra.
E che dire della storia di Gigliola Boni, la mamma di Monia Del Pero? Monia venne uccisa a 19 anni il 13 dicembre del 1989 a Manerbio, provincia di Brescia, dall’ex fidanzato Simone Scotuzzi. Il corpo verrà ritrovato 72 ore dopo in un canale di cemento fra i campi del paese. Il tribunale condannò Scotuzzi a soli 10 anni e 8 mesi con l’accusa di omicidio volontario. Vennero riconosciute le attenuanti perché alla fine confessò e fece ritrovare il cadavere. Nel carcere di Opera fece solo 5 anni prima di riguadagnare la libertà fra sconti e permessi. Al processo ci arrivò da libero e non ha mai risarcito la famiglia che in tutti questi anni nell’inutile tentativo di avere una giustizia degna di chiamarsi così spese svariate decine di migliaia di euro che mai nessuno, tantomeno lo Stato, ha pensato di rimborsare. All’epoca la parola “femminicidio” non era di moda come oggi.
Da ultimo ma non per ultimo, la vicenda di Fabio Misuri, impiegato informatico. Venne aggredito proditoriamente il 21 giugno 2013 in piazzale Sicilia, a Porta a Lucca, con cinque coltellate alla schiena e alla base della nuca mentre stava salendo sul suo scooter per andare a pescare. Autore del gesto un pazzo, Alberto Mennucci, che poi si accanì contro di lui versandogli addosso dell’acido muriatico. Ha rischiato di perdere un occhio. L’autore dell’insano gesto si prese 13 anni e 8 mesi e tuttora è ricoverato al manicomio criminale di Morlupo Fiorentino. Nella sua abitazione i poliziotti trovarono una specie di arsenale da Rambo di paese. E sebbene la pena per lesioni gravissime sia stata più alta rispetto a tanti casi di omicidio, inutile dire che l’uomo era nullatenente e Misuri da lui non è riuscito ad avere neanche lo straccio di un risarcimento.
Tutte e tre le vittime, i due familiari degli uccisi e Misuri sono concordi nel chiedere tutele analoghe, se non identiche, a quelle che già dal 1990 lo Stato riconosce ai familiari di chi è stato ucciso dal terrorismo o dalla mafia. “Perché non ci possono essere vittime di serie A e di serie B”, ha detto l’avvocato Massimo Proietti, consulente della futura associazione, il quale fa notare che la attuale legge 122 del 2016, di cui sopra, pone un limite molto severo ai risarcimenti riconosciuti. E questo laddove, per erogare, esige che “che la vittima sia titolare di un reddito annuo, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato”.
Cioè due lire. Uno deve essere nullatenente per essere risarcito se un parente stretto è stato ucciso da un rapinatore? Sarebbe invece cosa buona e giusta che lo Stato si sostituisse in surroga, magari parziale, agli autori del reato, rifondendo le vittime almeno dopo la sentenza penale passata in giudicato. E ovviamente rivalendosi poi sui criminali. Ma in Italia sembra che queste delicatezze possano essere riservate solo ai magistrati che per colpa grave mandano un innocente in carcere. E che in remoto caso di causa civile persa vedono pagare il contribuente prima che lo Stato si rivalga su di loro. Da pochi mesi in maniera obbligatoria. Per anni solo facoltativa.
Aggiornato il 16 maggio 2017 alle ore 20:16