“Sovranismi” e Rinascimento europeo

La globalizzazione ha portato la crisi dei partiti tradizionali. Liberalismo e socialismo sono diventate categorie politiche desuete, inidonee a risolvere i problemi del nuovo mondo. Le risposte che avanzano però, confusamente, nei movimenti cosiddetti populisti, hanno il grave difetto di non proporre nuovi modi di governare, ma semplicemente rimuovono la complessità dei problemi dell’era contemporanea. L’elezione di Emmanuel Macron in Francia ne è la più evidente reazione.

Non è infrequente sentire dichiarazioni di contrarietà alla globalizzazione, come se si trattasse di un fenomeno rimovibile. Ma, anche Theresa May, pur cavalcando la Brexit, sa perfettamente che si tratta di una situazione inarrestabile e che il divieto della libera circolazione delle merci e dei servizi, anche soltanto dentro i confini europei, sarà per la Gran Bretagna una grande sciagura.

Per questo, prima gli austriaci, poi gli olandesi, da ultimi i francesi, domani i tedeschi, tutti, vanno progressivamente prendendo coscienza che il cosiddetto populismo “sovranista”, se è buono per tacitare gli istinti di insicurezza, è molto meno idoneo a proporre formule capaci di governare la complessità della società contemporanea. Ai movimenti “sovranisti” va comunque un merito: quello di aver certificato che gli elettori non sono più incasellabili sull’asse destra-sinistra, perché la contrapposizione corre su altre aspettative, soprattutto tra protezionismo e liberismo.

Per i cosiddetti “sovranisti” l’uscita dall’Unione europea e dalla Nato, restituendo alle Cancellerie nazionali e alle valute la libertà di assumere le proprie scelte economiche e di politica estera, produrrebbe di per sé, come per incanto, la soluzione delle situazioni di crisi globale; mentre non ci vogliono studi particolari per capire quanto assurda, illogica e controproducente sarebbe ogni prospettiva di carattere solo nazionale.

La crisi finanziaria mondiale ha evidenziato l’impotenza delle singole nazioni a fronteggiare il mondo globalizzato. La tecnologia informatica ha accentuato l’evanescenza delle dimensioni spazio-regionali. Gli squilibri ecologici hanno reso evidente la dimensione mondiale dei problemi. In questo contesto, dove i punti fermi costruiti dagli Stati nazionali si sono decomposti, gli stati d’animo d’insicurezza collettiva hanno generati i nuovi “sovranismi”. La sovranità non si difende però con le politiche difensive, ma con la capacità d’imporsi nel mondo globale, attraverso la diffusione della qualità dei propri saperi, la tecnologia, i beni, la cultura. È così che si salva la sovranità delle Nazioni, perché è solo così che si salvano le specifiche identità culturali, liberali, economiche e sociali di un popolo. In una parola, si salvano le conquiste del Rinascimento europeo. Ogni atteggiamento di chiusura, nell’economia come nella politica, equivale alla negazione dei caratteri storici, universali, dell’Europa. La civiltà che ci contraddistingue è, infatti, per definizione, sovranazionale. I confini non sono delimitabili attraverso la geografia delle nazioni, perché il Rinascimento europeo è italiano e transnazionale. Per questo non serve meno Europa, ma semmai più Europa. Andando oltre, e al di là della moneta unica, che non è l’approdo ma il presupposto per la difesa delle identità nazionali. Anche la salvaguardia del benessere economico tra le grandi aree del mondo richiede aggregazioni, cooperazioni, concertazioni. Solo l’Unione europea (riformata) può garantirle. L’utilità dell’Europa per fini economici non è discutibile. Le immigrazioni di massa hanno posto all’Europa una serie di criticità. Dalla loro soluzione derivano conseguenze giuridiche di enorme vastità. Se si vuol far uscire l’Europa dall’attuale condizione di precarietà, si deve riconoscere - vale la pena ricordarlo - che l’avvio di una politica comune, in grado di declinare alcuni principi basilari sul fenomeno migratorio, non è rinviabile. Qui l’Unione si gioca molto, perché investe sulla possibilità di rendere percepibile la propria identità.

Nell’Europa, accanto alle aspettative del benessere, non possono non esserci anche i valori della solidarietà. Le democrazie sono per definizione inclusive e non precludono l’espansione della propria cittadinanza. Non si può ignorare che la globalizzazione genera paure, modifica i costumi, cambia le sensibilità e la cultura dei popoli. Per questo, la difesa dell’Europa, oltre che protettiva, deve essere propositiva, in grado cioè di riaffermare l’avvio di una nuova stagione di Rinascimento europeo.

Aggiornato il 10 maggio 2017 alle ore 18:14