Chi ha messo piede in un Pronto soccorso avrà ancora coraggio di votare il Pd?

Se c’è una cosa cui un essere umano tiene di più è la salute. E, proprio partendo da questo inconfutabile assunto, si può ritenere che dovrebbe essere primariamente questo l’oggetto delle attenzioni dei media e, se mi consentite, anche uno dei più significativi parametri con cui un cittadino decide dell’operato di un’amministrazione e finanche di una parte politica. E, invece, del disastro sanità sono in pochi a parlare. Finiscono nelle prime pagine, e aggiungo giustamente, gli scandali della malasanità, tra morti evitabili e sempre qualche bustarella di troppo, ma poi si dimentica. E mai si approfondisce, come si dovrebbe, il problema, non esiste insomma a livello mediatico alcun monitoraggio costante, coraggioso e rilevante dello stato della sanità in Italia o, se non altro, nelle singole regioni. È certo che, fortunatamente, trattasi di un problema con cui il cittadino di rado si confronta e, forse anche per questo, non sembrerebbe attrarre la dovuta quanto quotidiana attenzione che la questione meriterebbe.

Nell’attività politica quotidiana, anche a costo di ululare alla luna, non ho mai però voluto rinunciare alla denuncia di quanto avviene nella sanità. In particolare, oltre alle già note interminabili liste d’attesa delle prestazioni sanitarie (un anno circa per un ecocardiodoppler), alle strutture sanitarie che chiudono i battenti e a un deficit sanitario che, nonostante tutti i sacrifici sopportati dai pazienti, è ancora vivo e vegeto, esiste un mondo che non è attenzionato.

Parlo dei pronto soccorso, e mi riferisco nella mia esperienza a quelli romani. Con la drastica riduzione dei posti letto e quindi dei reparti, nessuno ha sottolineato veramente che questi siano divenuti dei reparti non attrezzati in cui indistintamente il paziente è ammassato, depositato, talvolta umiliato. E lo stesso vale per il personale sanitario, in particolare infermieri e medici, che sono costretti a fare l’impossibile con orari disumani e aggressioni all’ordine del giorno. Senza voler ulteriormente parlare di quei pazienti che lasciano questo mondo nel degrado di una barella sistemata in un angolo remoto di un grigio corridoio.

C’è chi muore quindi in corsia, e chi invece continua a combattere tra mille difficoltà, le stesse che incontra il personale sanitario impegnato con grande professionalità e indiscutibile spirito di servizio in quella che, in più di un’occasione, è apparsa come una scena apocalittica fatta di esseri umani situati a terra o parcheggiati alla rinfusa. Se non fosse la sofferente triste realtà di un ospedale romano, sembrerebbe di stare sul set di un film nei minuti immediatamente successivi a una catastrofe.

Ma quanto visto con i miei occhi in settimana inchioda il Pd e Nicola Zingaretti, sia come presidente della Regione Lazio ma anche e soprattutto come commissario straordinario della sanità nominato dal ministro Lorenzin nel lontano 2013,  a responsabilità politiche di gravità inaudita, roba da dimissioni immediate. All’ospedale San Camillo di Roma alcuni pazienti sono stati sequestrati all’interno delle ambulanze perché... mancavano le barelle. In quella giornata, stando alle rilevazioni condivise con il sindacato degli infermieri Nursind, alle ore 19, in tutta la Regione c’erano ancora 461 pazienti in sala d’aspetto e 325 in attesa di ricovero o trasferimento in cerca di un posto letto. Il sovraffollamento più corposo si era però verificato all’Umberto I, che verso l’ora di cena contava complessivamente 141 pazienti nella struttura d’emergenza: 47 in attesa di ricovero o trasferimento, 38 insala d’aspetto, uno in osservazione breve e 55 in trattamento. Tor Vergata e Sant’Andrea erano invece appaiati al secondo posto di questa triste classifica con 97 pazienti trattati contemporaneamente (e 29 in attesa di ricovero), ma anche al Pertini, Gemelli, Casilino, Sant’Eugenio e Grassi, oltre ai nosocomi di Latina e Frosinone.

Numeri quindi che narrano sovraffollamento, incapacità gestionale, colpevoli inefficienze, scelte assurde e irresponsabili. Ho richiesto così un intervento immediato da parte del Prefetto di Roma e del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, per mettere fine a questo scempio e richiedere con forza immediata chiarezza sulla questione delle ambulanze bloccate negli ospedali della Capitale. Un blocco che ha imposto, tra le altre cose, il ricorso alle prestazioni extra delle ambulanze private, le cosiddette “chiamate a spot”, che all’Ares 118 costano mediamente circa 17mila euro al giorno, per un aggravio sulle casse regionali che solo nel 2016 corrisponde a 6 milioni e 200mila euro spesi per far fronte ai Pronto soccorso sempre più sovraffollati che causano il blocco-barelle e tengono quindi ferme le ambulanze delle varie postazioni.

Ma alla nostra azione di denuncia si accompagna sempre anche una proposta politica che va al di là degli schieramenti politici. Come Fratelli d’Italia, ad esempio, nell’ultima Seduta straordinaria sulla sanità siamo riusciti a far approvare 4 ordini del giorno. In virtù del via libera a questi atti, il Consiglio regionale del Lazio ha dato mandato al presidente della Giunta di accelerare il processo di digitalizzazione delle ricette cartacee per l’acquisto di prodotti senza glutine anche presso la grande distribuzione e i negozi specializzati; nonché a predisporre un piano per la riorganizzazione della fisica sanitaria, individuando la tipologia delle unità operative necessarie presso ogni azienda sanitaria al fine di garantire l’appropriatezza, la qualità e la sicurezza nell’uso diagnostico e terapeutico delle radiazioni nelle prestazioni erogate dal sistema sanitario regionale. Altro atto di indirizzo ha riguardato la garanzia di piene prestazioni del centro trasfusionale di Anzio. Un ulteriore ordine del giorno approvato impegna poi il presidente Zingaretti a prevedere, tra gli interventi regolatori dell’attività di libera professione intramoenia, la sua obbligatoria nonché immediata riduzione o sospensione in tutti i casi in cui i tempi di attesa delle prestazioni erogate da una struttura pubblica superino quelli massimi indicati alla programmazione regionale. Al contempo, il Consiglio chiede di rendere maggiormente stringenti le misure sanzionatorie in capo ai direttori generali delle Asl in tutti i casi sussista un sistematico superamento dei tempi d’attesa massimi.

Staremo a vedere cosa accadrà, osserveremo anche i media, invitando i cittadini ad essere consapevoli e informati sul problema sanità con costanza e attenzione, ma soprattutto continueremo la nostra battaglia, denunciando ogni giorno lo scandalo della sanità, in particolare nel Lazio, e quanto non fatto in 4 anni di governo da #ZeroZingaretti e la sua banda.

(*) Consigliere regionale del Lazio e membro dell’Assemblea Nazionale di Fratelli d’Italia

Aggiornato il 10 maggio 2017 alle ore 11:01