La verità su Marine

Ieri tutti i giornali giocavano a fare i piacevolmente sorpresi per la vittoria di Emmanuel Macron.

È stato il trionfo dell’ipocrisia, quella sorta di realtà parallela che, a furia di raccontarla, viene presa per vera dalla gente. In realtà tutti sapevano che Marine Le Pen non ha mai avuto la benché minima possibilità di vincere contro Macron, ma oggi piace raccontare del trionfo dell’ idea di Europa sulle pericolose destre (ma poi perché ci mettono il plurale?), della saggezza popolare che ha fermato il populismo. Ma come si può raccontare una simile sciocchezza quando è di dominio pubblico il fatto che tutto l’arco costituzionale sostenesse Macron  in una sorta di conventio ad excludendum?

Che piaccia o no, Marine Le Pen era l’unica candidata antisistema, era l’unica scheggia impazzita che avrebbe rischiato di governare cercando, a suo modo, di fare l’interesse dei francesi e non delle oligarchie.

Il suo contendente, sostenuto da una accozzaglia che svaria dai gollisti ai socialisti, è diretta espressione degli ambienti finanziari internazionali, è il cane da guardia di quell’Europa poco trasparente che si ostina ad essere cerbero e non comunità, è una sorta di Troika elettorale imposta democraticamente. Invece, secondo la vulgata comune, la Le Pen, sola contro tutti, ha combattuto ad armi pari e ha perso a furor di popolo. Sciocchezze dette consapevolmente. Nella sconfitta della destra francese il popolo c’entra poco visto che è stato solo l’attore inconsapevole di una strategia decisa a tavolino o, se vogliamo, il gregge che ha pensato di uniformarsi alle decisioni dell’establishment per non avere problemi, perché mica nasciamo tutti con l’orgoglio inglese.

Gli attentati a ridosso delle elezioni sono probabilmente stati solo un facilitatore di questa strategia preordinata a tavolino perché hanno contribuito a mandare al ballottaggio una come la leader del Fronte Nazionale che è il contendente perfetto contro cui coagulare sfacciatamente quelle oligarchie le quali, in Francia come nel resto d’Europa, sono già una grande coalizione di fatto che aspetta solo  la scusa buona per fare outing.

La Le Pen era elettoralmente una battaglia persa (mai credere che il popolo possa avere il coraggio di andare contro l’apparato) e politicamente l’occasione persa per far sentire alle mummie di Bruxelles la voce dei popoli che soffrono per la crisi (vien da pensare  poco convintamente). La lezione francese dovrebbe insegnare anche ai lepenisti nostrani che le battaglie solitarie non vincono mai perché, alla prova dei fatti, i popoli (almeno quelli che campano alla periferia di Berlino) sono avversi al rischio e c’è una grande differenza tra il lamentarsi al mercato davanti al prezzo delle zucchine e l’agire di conseguenza nelle urne.

Qualcuno dice che comunque il 34 per cento di Marine sia un passo avanti rispetto al 17 per cento del padre Jean-Marie e che il trionfo dei partiti anti sistema sia solo questione di tempo.

È solo una pia illusione: le piazze tengono famiglia e soprattutto non hanno il Commonwealth.

Aggiornato il 08 maggio 2017 alle ore 18:04