“Task force europea contro il jihadismo”

Stefano Piazza è un esperto di sicurezza di origine svizzera, autore del saggio “Allarme Europa”, pubblicato dalle edizioni G-Risk per la collana “Servizi e Segreti” e scritto a quattro mani con il responsabile delle pagine degli esteri del Corriere del Ticino, Osvaldo Migotto. Per Piazza “il progetto multiculturale, nelle sue forme più estreme - voluto nella maggior parte dei casi dai partiti europei di sinistra e dai verdi - è miseramente fallito”. I terroristi continuano a colpire senza freni e l’integrazione per le minoranze resta spesso pura illusione. Ciò che rimane è quindi l’instabilità politica che domina nel Vecchio Continente, divisioni interne e un mucchio di potenziali jihadisti pronti a sfruttare l’indecisione dei governanti per colpire in ogni angolo d’Occidente.

Il suo saggio affronta in modo preciso e allo stesso tempo semplice il tema della jihad: ce ne può parlare?

Con il mio libro racconto l’inarrestabile ascesa dell’Islam salafita che si ispira alla dottrina di Ibn’ Tamya e Abdel Waab (predicatori dell’Islam dei primordi, ndr) nei principali Paesi europei. Una storia che inizia alla fine degli anni Sessanta e continua ancora oggi nella totale (o quasi) sottovalutazione dei governi e dell’opinione pubblica europea. Una sorta “di pianta del male” cresciuta e innaffiata da generosi finanziamenti provenienti da esponenti di famiglie dei Paesi del Golfo Persico. E legata a una serie di errori e comportamenti ambigui delle classi dirigenti che si sono alternate alla guida dei principali Paesi dell’Unione europea.

Quanto è grave la minaccia islamica in Europa?

È più grave di quanto si pensi. Si parte dal rancore antioccidentale che cova nelle “banlieue” francesi e belghe, oppure nelle cittadelle islamiche inglesi o nelle “no-go zone” svedesi, norvegesi e olandesi, fino ai Balcani. Qui si è di nuovo alle prese con dinamiche nazionaliste e l’Islam radicale si ritaglia uno spazio importante. L’Albania, il Kosovo, la Macedonia e le “enclave” salafite della Bosnia Erzegovina vivono uno stato di permanente tensione che può esplodere in ogni momento. Paesi che dopo la guerra fratricida degli anni Novanta hanno visto l’ascesa dell’Islam di matrice salafita-waabita crescere grazie alla continua costruzione di moschee e minareti e la formazione di imam mandati a studiare in Arabia Saudita e tornati poi in patria.

Chi ha pagato tutto questo?

La famiglia reale saudita, che ha inondato di petrodollari Paesi ridotti in macerie da dove sono partiti poi centinaia di giovani jihadisti. C’è poi la questione del ritorno nel continente europeo dei foreign fighters dal “Siraq” attraverso le rotte balcaniche rese ormai completamente permeabili.

Quali sono i Paesi più a rischio? Perché?

Difficile dire chi è più a rischio. Ma le faccio un semplice esempio: la Säpo (l’intelligence svedese) ha censito che nella sola capitale Stoccolma vivono 3mila richiedenti asilo colpiti da provvedimento d’espulsione che non si trovano più. Le autorità svedesi non sanno dove sono. La Svezia non li trova mentre le organizzazioni terroristiche li arruolano on-line come accaduto recentemente. La Francia si confronta con 148 sale di preghiera “radicali “su 2.500, nel 2016 solo 20 sono state chiuse! In Germania i predicatori islamici radicali sono attivissimi nei centri di raccolta dei migranti. A loro regalano vestiti caldi, giocattoli e caramelle ai bambini oltre all’immancabile copia del Corano. Inoltre nei principali Paesi europei sono attivi i pericolosissimi gruppi salafiti che predicano per le strade e nelle piazze (Street Dawa, ndr) regalando copie elegantemente rilegate del Corano in modo da convertire il maggior numero di persone. Il quadro come vede non è certo rassicurante.

C’è una differenza tra nord e sud Europa rispetto alla possibilità di attacchi?

Non credo sia una questione geografica. Tuttavia Paesi come la Spagna o l’Italia in passato toccati duramente dalle stragi terroristiche di matrice islamica o di estremismo politico sono più protetti rispetto a Svezia, Germania, Norvegia e Inghilterra. Dietro c’è un grande lavoro di prevenzione sul terreno, nient’altro.

Il fallimento dell’integrazione può essere considerato un motivo valido che spinge i terroristi a colpire?

Il terrorismo di matrice islamica colpisce dalle Filippine al Caucaso da molti anni. Non è un fenomeno nuovo e lo fa per molte ragioni. La mancata integrazione oppure la mancata nascita di un “Islam europeo” spesso è una delle ragioni, ma non la sola. In Inghilterra, in Svezia, in Belgio, in Francia e in Germania per l’integrazione si sono spesi e si spendono centinaia e centinaia di milioni di euro in sussidi e corsi di lingua. Se però l’individuo non vuole aderire ai valori dell’Occidente, sono soldi buttati che alimentano una pura illusione.

Il multiculturalismo ha favorito il fenomeno jihadista?

Di certo non lo ha sfavorito. Il progetto multiculturale nelle sue forme più estreme, voluto nella maggior parte dei casi dai partiti europei di sinistra e dai verdi, è miseramente fallito. Anzi, di queste assurde volontà politiche ne hanno approfittato gruppi come i “Fratelli Musulmani” nelle sue varie declinazioni. Ad esempio “Millî Görüş” (“Punto di vista nazionale”, ndr) in Germania. Si sono inseriti nei partiti per islamizzare intere comunità di emigranti un tempo laiche e pacifiche. Attenzione alla presenza di questi “lupi vestiti da agnelli” nei partiti politici ad esempio nella Spd tedesca. In Svezia uno di loro, Mehmet Kaplan, divenne addirittura ministro dell’edilizia e delle tecnologie, ma dovette dimettersi nell’aprile del 2016 per aver paragonato Israele al Terzo Reich. Poi si scoprì che frequentava ambienti vicini all’integralismo islamico e in particolare quello dei Fratelli Musulmani.

Distruggere il Califfato fermerà gli attacchi nel Vecchio Continente?

Credo proprio di no. Faremo i conti con questo fenomeno per molti anni ancora. Almeno fino a quando consentiremo la nascita di società parallele accanto alle nostre. Da tempo si discute della distruzione del Califfato, ma credo che prima di darlo militarmente sconfitto bisognerà attendere ancora un po’. In ogni caso dopo il Califfato di al-Baghdadi il sogno di costruire un’entità statuale governata dalla sharia non finirà, cambierà forma tornando magari all’impostazione di Al Qaeda data frettolosamente per sconfitta che invece si è riorganizzata sotto la sapiente guida di Ayman al-Zawahiri. L’Isis invece credo che continuerà a colpire l’Occidente con i miliziani di ritorno e i “lupi solitari” autoradicalizzatisi sul web che hanno appreso come attaccarci lanciandosi con un auto o con un camion sulla folla, oppure con un semplice coltello da cucina. Disintegrati sociali quasi impossibili da fermare quando decidono di passare all’azione.

Perché fino a oggi l’Italia si è dimostrata immune dagli attentati?

L’Italia conosce molto bene il terrorismo e la prevenzione del fenomeno e sa come si conduce la lotta alle organizzazioni criminali. È per questo che riesce ad arginare il problema e di questo beneficano molti Paesi europei. Carabinieri e polizia conoscono molto bene il territorio. Parlano poco e fanno i fatti. I Servizi segreti italiani non fanno biografie, statistiche e dossier sui terroristi. Quando li individuano li vanno a prendere, li arrestano, li mettono sul primo aereo che c’è e li mandano via. La media dal primo gennaio 2017 è di quasi 10 espulsioni al mese, non sono poche. Quando poi vengono condannati, i terroristi non vanno in carceri come quelle norvegesi dove c’è il wi-fi e il menu a scelta. Infine va ricordato che negli anni più duri del terrorismo e della lotta alla mafia in Italia sul campo c’erano uomini come il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno indicato una strada, un metodo investigativo. Oggi si raccolgono i risultati anche da quelle drammatiche esperienze.

Quanto i populismi europei si nutrono di terrorismo?

Il terrorismo e la crisi economica sono la benzina ideale del populismo. L’odio per lo straniero e le paure di ogni tipo sono perfette per chi conduce politiche di questo tipo. Marine Le Pen, ad esempio, è arrivata a dire che se ci fosse stata lei “la strage del Teatro del Bataclan non ci sarebbe mai stata”. Una sciocchezza enorme alla quale in tanti potrebbero credere. Solo al pensiero che uno come Beppe Grillo o Luigi Di Maio un giorno possano occuparsi di temi come questi fa venire i brividi nella schiena. Ma potrebbe accadere.

Cosa aspettarsi per il futuro? L’Europa riuscirà mai a debellare il male jihadista?

Non credo, almeno nel medio periodo. Vivremo anni di grande instabilità in un continente europeo governato da esecutivi debolissimi. La dissoluzione della Libia, la guerra in Siria e Iraq e la pericolosissima deriva autoritaria turca sono fenomeni portatori di grave instabilità che possono essere gestiti solo da un’Unione europea forte e non frammentata. Pensare quindi che un fenomeno come quello del terrorismo islamico possa esser sconfitto in fretta è mera illusione. Per debellare un male devi conoscerlo a fondo, poi combatterlo e non certo come facciamo oggi in ordine sparso. Un passo decisivo a mio avviso sarebbe quello di costruire una task force europea con sede in Italia con un uomo come il generale Mario Mori al suo vertice. Senza decisioni forti è inutile illudersi: siamo condannati all’inevitabile sconfitta.

Aggiornato il 29 aprile 2017 alle ore 16:07