
Un aforisma, un commento - “Dopo le deludenti prove dei governi di centrodestra e di quelli di centrosinistra si deve concludere che il problema sta proprio in quel ‘centro’”.
Si tratta di una questione insieme logica e politica. Sul piano logico l’aforisma nasconde un possibile tranello, come suggerisce un noto e spiritoso esempio attribuito a Irving Copi. L’illustre logico, per sottolineare la possibile fallacia di una deduzione, racconta che, bevendo whisky con soda soffriva di mal di stomaco; allora passò al rum con soda ma il mal di stomaco continuava; altrettanto successe passando al brandy con soda e, allora, concluse che era colpa della soda. Il fatto è che, senza essere in grado di valutare pienamente il ruolo delle singole cause è arduo valutare le concordanze causali effettivamente significative, come il fatto, per noi ovvio, che non era certo la soda a provocare il malessere bensì un’altra circostanza comune, cioè l’alcol.
Anche sul piano politico potrebbe trattarsi di un abbaglio, ma qui la conoscenza delle singole cause sembra comunque piuttosto evidente. Sinistra e destra, in Italia, esistono da sempre ma, per così dire, non hanno mai raggiunto l’età adulta. La sinistra, ancora oggi, è dilaniata da scissioni che l’hanno caratterizzata sin dal 1921 e la cui motivazione è stata ed è tuttora da cercarsi nel disaccordo endemico fra radicalismo e moderazione, ossia fra coloro che, minoritari ma non troppo, vorrebbero politiche francamente socialiste e coloro che, invece, amerebbero evitare conflitti troppo accesi. Già, ma conflitti con chi? Come si fa, oggi, a ritenere che esista ancora un genuino “avversario di classe” che ostacola l’emancipazione del proletariato? Si può farlo, ma allora occorre cambiare linguaggio e parlare di interventi statali nell’economia, di imposte patrimoniali che colpiscano i ricchi, di politiche antimilitaristiche, ecc.. Questa è la sinistra italiana “genuina”. L’altra, da parte sua, è quella che si è allineata alla socialdemocrazia europea e parla di welfare, di mercato aperto alla socialità, di attenzione ai ceti emarginati senza riferimenti ad alcun “odio di classe”.
Anche la destra non ha esibito, negli ultimi decenni, grandi prove di coesione. Accanto a un esiguo gruppo di nostalgici del fascismo, i partiti maggiori che si sono succeduti, fusi e poi scissi e che ora sono di nuovo in competizione fra loro, non sono riusciti a esprimere idee e proposte comuni che facessero della destra italiana qualcosa di simile alle destre europee quali esistono solidamente in Europa e in Gran Bretagna. Anche qui le questioni che dividono sono la rilevanza da dare al mercato e, di riflesso, al ruolo dello Stato; il raggio di estensione da assegnare all’individuo e alla sua responsabilità, e quello da assegnare alla collettività e, dunque, alla socialità. E così via.
Al fine di conseguire il massimo successo elettorale e, di conseguenza, riuscire a governare, sia la sinistra sia la destra guardano al centro, ossia a quella vasta maggioranza di italiani che i sociologi collocano nello strato sociale medio; uno strato che si è enormemente ampliato, come in ogni altra parte del mondo, dopo la Seconda guerra mondiale. Uno strato sociale che non vuol sentir parlare di modelli politici estremi e che, soprattutto in Italia, accetta proposte mediane fra ideali magari opposti; che ama la libertà ma, per avere vita tranquilla, chiede garanzie di ogni genere allo Stato; che ritiene, per dirla in breve, che tutto sommato il giusto stia nel mezzo. Cioè al centro. Tuttavia, quando si governa, non è facile assumere decisioni “di centro” poiché, se ben analizzata, una decisione politica è sempre orientata da qualche presupposto ideale e, questo, è sempre riferibile a dottrine di destra o di sinistra. Negarlo significa creare, o incrementare, la confusione nella falsa persuasione di aver trovato “la terza via”. Un’illusione che il super pachiderma democristiano ha ampiamente alimentato, fra l’altro definendosi ambiguamente come “partito di centro che guardava a sinistra” anche quando perseguiva politiche di destra.
Per questo dovremmo invidiare i Paesi nei quali, senza alcuna pruderie, ci si qualifica serenamente di destra o di sinistra. Ma, per poterlo fare dignitosamente, dovremmo davvero capire che sinistra e destra, epurate dai massimalismi, non sono altro che opzioni capaci di dare il meglio quando interpretano razionalmente i propri ideali, evitando la pretesa di possedere verità escatologiche e amministrando la cosa pubblica in modo tale che, quando inesorabilmente l’avversario vincerà democraticamente le elezioni, trovi tutto quanto a posto.
Aggiornato il 26 aprile 2017 alle ore 15:51