Manovre economiche  e illusioni finanziarie

Tutte le volte che il governo è a caccia di risorse e asserisce (in parte è vero) che deve farlo perché “lo chiede l’Europa” assistiamo al consueto ricorrere ad argomentazioni a giustificazione dell’imminente spremitura dei contribuenti. Si va dalla consueta invocazione dell’Europa (a un tempo scusa e capro espiatorio) ad altri, più specifici: occorrono risorse per sviluppare le infrastrutture, pagare le pensioni, sanzionare comportamenti scorretti, incentivare le energie alternative e financo combattere l’evasione.

Che tutto questo sia servito a poco o a nulla è dimostrato dagli stessi dati forniti dai ministeri e istituti pubblici: che malgrado ciò da parecchi anni cresce sia il debito pubblico che l’imposizione fiscale. Forse la conclusione, poco raffinata, che ne consegue è la necessità di spendere di meno. Ma dato che il bilancio pubblico è, oggi, come al tempo di Giustino Fortunato il quale coniò questa espressione, la “lista civile” del parassitismo politico e sociale, non se ne può fare a meno per il decrescente consenso che una classe dirigente in decadenza (e il governo che esprime) ne ricava.

Comunque sia certi argomenti presentano un interesse per la loro “struttura”; onde vale la pena di ricordare come i consimili furono descritti e valutati da Amilcare Puviani, il quale vi dedicò un libro apposito, “L’illusione finanziaria” (che sarebbe oggi messo all’indice dall’Agenzia delle entrate), e dal quale è derivato tale denominazione che li accomuna tutti. Ad esempio: pare che il governo voglia aumentare l’imposta di successione. Motivi esternati (prevalentemente dai media fiancheggiatori): colpire le rendite (?); la ricchezza percepita dagli eredi non è stata da loro prodotta (scoperta degna di Lapalice - perché non applicarlo anche ai figli minori e ai disabili?); siamo quelli con le aliquote più basse d’Europa (ancora!); e perché invece non prendiamo esempio dall’Europa, laddove abbiamo le aliquote più alte: ci allineiamo all’Irpef polacca o all’Iva del Lussemburgo? Puviani, al posto di queste melense e per lo più bugiarde argomentazioni sosteneva che l’imposta di successione piace ai governanti perché suscita meno resistenza tra i contribuenti in quanto rientra tra i trasferimenti di ricchezza a titolo gratuito: “La traslazione di ricchezze a titolo gratuito produce un godimento tanto maggiore della traslazione di ricchezza a titolo oneroso, quanto più quest’ultima si risolva in uno scambio di beni equivalenti. Il trasferimento a titolo gratuito rappresenta spesso un arricchimento assoluto, senza corrispettivo, senza contro-cessione, senza spesa, senza costo, senza dolore”.

Ciò spiega anche perché dove c’è l’aspettativa del trasferimento (e il dolore per la perdita del genitore) l’imposta sia azzerata o ridotta al minimo, ma se muore lo zio d’America il fisco va giù con mano pesante. Altro che “tassazione di rendita” e “ricchezza non lavorata” è proprio il fatto che la ricchezza sia acquisita senza lavoro, spese e fatica che induce il contribuente alla predisposizione psicologica di sopportarne il costo, senza troppo questionare. E il governo che lo sa, a quella s’indirizza. Così come preferito dai governanti è ricorrere ad aumentare le imposte sui consumi (Iva e accise varie) anche questo prospettato dalla stampa. Ove peraltro il governo è più a corto di argomenti: ma comunque torna utile che gli idrocarburi inquinino l’ambiente, il fumo i polmoni e l’alcool la mente per figurare quale castigatore/benefattore di viziosi e prodighi. Crea l’illusione che i governanti facciano del bene, invece fanno solo dei soldi.

Tuttavia la ragione principale di dette tasse è quella di cui Puviani così sintetizzava l’illusione: “Un occultamento di ricchezza requisita è ottenuto anche allorché certe parti del reddito o del patrimonio effettivamente assorbite dalle contribuzioni assumono la falsa apparenza d’impieghi per la soddisfazione dei bisogni privati”. Molto spesso chi acquista la merce tassata non pensa che paga l’Iva perché a versarla è il venditore (o il fabbricante). Tuttavia, aggiungeva l’economista, “in periodi di stasi o regresso economico e di malessere generale sorgono limiti al diffondersi di questa specie di illusione, per causa della debole domanda dei prodotti”.

E quindi, in tempi come gli attuali non è il caso che i governanti ne abusino. Che la “debole domanda dei prodotti” comporti anche la decrescita della base imponibile e quindi dell’imposta percepita li preoccupa fino a un certo punto: aumentando le aliquote si ottiene un aumento della seconda anche a fronte del calare della prima. Quello che dovrebbe preoccuparli di più è che può aumentare anche la resistenza dei contribuenti. E quindi occorre illudere di più per compensare il maggior peso dell’imposta; così compensare con la propaganda diretta od occulta quello che si nasconde sempre meno: che una classe dirigente “alla frutta” cerca di giustificare i cattivi risultati che consegue con le buone intenzioni che esterna e il clamore mediatico con cui le propaganda. Ma fino a quando?

Aggiornato il 08 maggio 2017 alle ore 13:25