Per l’Europa? Meglio Macron che Orlando

Leaders del continente per il rinnovo dei Trattati di Roma. “Io ero impossibilitata, sei andato anche per me, grazie”.

Emma Bonino si è fatta portavoce della tradizione federalista di Marco Pannella e di Altiero Spinelli. Ineccepibile e – io posso dirlo – doverosa. Come doveroso l’invito da lei rivolto al Partito Democratico perché non dimentichi certa sua politica europea. Anche qui, tutto bene? Non proprio; qui converrà ricordare – e io posso farlo – che l’europeismo il Pd non lo ha iscritto nel suo Dna. Anzi. Ricordo bene quando il federalismo spinelliano era visto come il fumo negli occhi dall’intero Pci, prono in un’obbedienza cominformista per la quale “Europa” era parola quasi impronunciabile, sinonimo di servilismo nei confronti dell’America e del suo capitalismo.

Noi, giovani e sparuti militanti del Movimento Federalista Europeo, ci sentivamo assediati nelle stanze semideserte della sede di Piazza Fontana di Trevi e sommersi dalla marea dell’antiamericanismo delle sinistre e del Pci in particolare. Enrico Berlinguer avviò più tardi una politica di avvicinamento all’Europa, arrivando anche a far eleggere Spinelli al Parlamento europeo. Magari, un po’ in sordina, se non proprio di nascosto. Ancora più tardi, le classi politiche italiane sdoganarono l’Europa e accettarono anche l’Euro. Ma non mi sembra che abbiano elaborato una “cultura”, se non saldamente federalista, almeno onestamente europea. Nello scrosciare degli applausi alla riunione dei leader dell’Ue abbiamo avvertito se non ipocrisia quanto meno la dissonanza di un’adesione puramente formale, nessuna autentica partecipazione (beninteso, a sinistra come nell’intero perimetro di quanti oggi si professano europeisti).

Bene, comunque, Emma e il suo nostalgico richiamo, ma nessuna fiducia che la nostalgia possa avviare una seria mobilitazione sul terreno propriamente politico: in Italia - come nel resto dell’Eurozona, dei Paesi che hanno sottoscritto il rinnovo dei Trattati del 1957. Ed Emma stessa dovrebbe ricordare che questa mia preoccupazione è di lunga data. Anni fa, mi pare su “La Stampa”, apparve un suo intervento che tratteggiava l’identikit di una “federazione leggera” come punto di riferimento in un dibattito che vedeva parecchia contrarietà verso quel “Superstato” con cui si demonizzava il federalismo europeo. Naturalmente, gli oppositori dell’ipotetico Leviatano avevano torto, e mostravano di non aver riflettuto e di non essere un minimo informati sul sistema, i meccanismi di quegli Stati Uniti d’America che sono il modello primo e insuperabile di un efficiente, equilibrato e non invasivo sistema federale. Ma la “Federazione leggera” di Emma non prese mai corpo, rimase una vaga e astratta evocazione. A quei tempi, in ambiti radicali si evocava continuamente Spinelli, la Ventotene del Manifesto, ma in realtà neanche lì si fece un serio passo per tentare di costituire un piccolo, ma saldo nucleo di militanti federalisti sul modello di quel circolo del “Coccodrillo” che collaborò attivamente con Spinelli per proporre un’alternativa al Maastricht di Delors.

Non sono un catastrofista o uno scettico, non credo che la recente conferenza romana sui Trattati di Roma sia stata una vacua, inutile cerimonia. I Paesi dell’Unione, pur riluttanti e forse anche un po’ ipocriti, hanno tuttavia riaffermato alcuni principi di fondo, che una qualche credibilità la mantengono; non solo sul piano morale e storico, ma anche su quello pienamente politico: sono tutti consapevoli che una Europa disgregata cadrebbe in balia delle due potenze confinanti, l’America trumpiana e la Russia putiniana.

Insomma, sul piano delle istituzioni e dei governi non tutto è perduto o da buttar via. Quel che manca è piuttosto il “soggetto politico” interprete e promotore di una costante e pressante iniziativa europea, anzi federale. Questa mancanza è il mio cruccio, più volte manifestato a Pannella, che mi contestava rivendicando a sé e ai radicali quel ruolo. Ma questo “soggetto” non possiamo continuare a cercarlo nelle aree governative o vicine. Non amo la retorica di coloro che invocano la politica “dal basso”, però un minimo di base sociale, di spinta popolare se non “di massa” occorre sempre. Dopo la sconfitta del progetto Ced (Comunità Europea di Difesa), Spinelli promosse la nascita del “Congresso del Popolo Europeo”, ispirandosi al modello del “Congresso del Popolo” indiano. L’ambizioso progetto fallì: mancava, appunto, il “popolo europeo”.

Però oggi qualcosa sembra essere cambiato. Nella Francia sciovinista e lepenista, Emmanuel Macron si è candidato alla Presidenza della Repubblica sollevando, contro Marine Le Pen, la bandiera dell’Europa e raccogliendo un seguito rispettabile. Potrebbe persino, dicono i sondaggi, farcela. Certo, la sua Europa non è quella di Ventotene, e dietro fa capolino la immancabile Francia, se non la sua “grandeur”. Però, perché non cogliere l’occasione, perché non concedergli un pizzico di fiducia? Se il consenso su di lui si rafforzasse, se i suoi sostenitori (meglio se provenienti da diversi Paesi) gli presentassero motivazioni più stringenti, forse si potrebbe mettere in moto un’onda persuasiva e forte; magari sarebbe l’abbozzo di un vero “popolo europeo”.

Fantasticherie? Utopie? Può darsi. Ma allora non sprechiamoci ad applaudire Andrea Orlando, con le sue striminzite comparsate di piazza. Forse sarebbe perfino comprensibile il pavido silenzio di chi preferisce restare alla finestra o nascondere la testa, come uno struzzo, dinanzi alla storia che incalza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46