Il grande inganno  del nuovo Pli

C’è un momento dell’anno, normalmente verso la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, in cui ricevo, puntualmente e ogni anno, un messaggio o una mail da una persona sconosciuta. Il testo è, da oltre nove anni, sempre lo stesso: “Buongiorno, so che eri nel Pli, stiamo organizzando un nuovo congresso per cambiare la linea politica, sostituire il segretario Stefano De Luca (nella foto, ndr) con un’altra persona di grande intelletto e integrità, e cerchiamo iscritti per sostenerlo al congresso”.

La conversazione normalmente prosegue con un mio cordiale declino, che ripete il “grazie ma ho già dato”, eppure l’interlocutore non si scoraggia mai e spesso insiste pronunciando alla fine la magica frase: “Quest’anno vinciamo, quest’anno sarà diverso, ne vale la pena”. Se non fosse che questa vicenda va avanti da oltre dieci anni, ci sarebbe da sorridere. Invece, purtroppo, c’è da riflettere e, forse, anche da indagare.

Da ormai troppi anni, come ricordava il direttore Arturo Diaconale proprio su queste pagine, lo spazio politico liberale è vuoto, inesplorato, inefficace. Eppure, quel nome “liberale” è utilizzato da quel nuovo Pli che venne “rifondato” da Stefano De Luca, ex deputato siciliano prima in Pli e poi in Forza Italia e a cui fa seguito un nutrito gruppo di signori over 70, che evidentemente trova diletto nel fregiarsi del titolo di “coordinatore” di qualche remota provincia italiana di un partito che non vince una competizione elettorale da trent’anni. Eppure il problema non è neanche questo, e non è nemmeno l’irrilevanza del partito e la sua totale inefficacia politica. Il vero problema è l’inganno che propone ogni anno a centinaia di persone in buona fede (soprattutto giovani) che vengono attirati dalla possibilità di riformare e rilanciare uno spazio politico realmente liberale, e che per questo motivo investono tempo, soldi ed energie in un progetto che non potrà mai avere successo. La sensazione di poter cambiare la linea politica, come avviene in qualsiasi competizione interna a partiti o movimenti democratici, induce le persone (sempre in buona fede) ad acquistare la tessera: 40 euro e qualche viaggio a Roma, e la speranza di dare un legittimo contributo al dibattito politico è più che soddisfatta.

Succede però, ogni anno, che il congresso venga vinto sempre dallo stesso De Luca. È la democrazia. Sì, ma con qualche aiuto. Fin dal 2008, anno in cui partecipai io stessa al tentativo di rinnovo della segreteria del Pli, vennero segnalati brogli sui tesseramenti e sui risultati. Ma nulla fu possibile nel rivalersi contro la segreteria, e molti attivisti scelsero di lasciare questa avventura. Da allora, ogni anno la storia si ripete: il Pli consente il tesseramento con l’illusione di poter rinnovare la classe dirigente perché, semplicemente, è una miniera di soldi facili. Quasi 60mila euro nel 2014 e pochi meno nel 2015, secondo i bilanci pubblici e consultabili da tutti. Non male per un partito che non vince una competizione elettorale da trent’anni e che non organizza alcuna attività, se non qualche presentazione di libri.

La delusione, però, arriva presto: se il tesseramento “nemico” (che però è utile a livello finanziario) supera quello “amico”, improvvisamente le iscrizioni vengono rifiutate senza motivo apparente, come ha raccontato su queste pagine Andrea Bernaudo, che generosamente aveva offerto il suo ruolo politico (consigliere regionale del Lazio) al partito. Nessuna sorpresa, cari nuovi non-iscritti al nuovo Pli: i conti al partito sono stati fatti. Meglio 60mila euro oggi, e il partito in mano, che centomila, duecentomila euro, migliaia di iscritti, nuove attività e, magari, una nuova segreteria politica.

È la politica, baby, come disse De Luca al congresso del 2008 alla sottoscritta, giovane liberale diciannovenne: “La politica è proprio come diceva qualcuno: è sangue, e m... a”.

Ah, la sua, De Luca, lo è di certo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46