
Democrazia “illiberale”. Così il collega Fareed Zakaria definì su Foreign Affairs nel 1997 “un sistema di governo nel quale, oltre al fatto che si tengano delle elezioni, i cittadini sono completamente tagliati fuori dalla conoscenza di tutto ciò che concerne il potere e le libertà civili. Essa non rappresenta un modello di società aperta. Sovente vi è una costituzione che limita il potere del governo, ma le sue libertà sono ignorate”.
Vi suona familiare? Grillo, Raggi, sovranisti vari che fanno pubbliche dichiarazioni a sostegno di soprusi corporativi che bloccano e paralizzano intere città, prendendo in ostaggio per giorni, senza alcuna tutela minimale, anziani, invalidi, studenti, cittadini che viaggiano per lavoro, ecc.? E nemmeno vorrei entrare nell’esercizio fine della relativa illegalità di tale esercizio antidemocratico, a norma del diritto di sciopero, su cui ben altre autorità sono chiamate a pronunciarsi. Io voglio invece prendere spunto da Zakaria e indossare l’elmetto per lottare contro l’anti-modernità e l’illiberalismo dilagante. Dicendo innanzitutto a politicanti e mestieranti dell’agit-prop social-popolare che nella loro strategia del “me ne frego 2.0” non c’è futuro.
Per due ottime ragioni. Primo: mantenere gli attuali privilegi di un sistema chiuso e autoreferenziale, nei commerci, nei servizi di pubblica utilità (trasporti autorizzati, innanzitutto), nelle professioni liberali, come quelle di farmacisti, notai, ecc., significa solo e soltanto far girare all’infinito il contatore del debito pubblico intergenerazionale. A meno che, a un certo punto, si chiami noi banco in questa roulette russa, dicendo al mondo che “da oggi l’Italia non ripagherà il suo debito pubblico”. Perché uccide il futuro delle nostre giovani generazioni, condannate alla povertà e alla precarietà. Perché siamo, in fondo, dei giocatori di azzardo, molto più furbi di voi.
Basterà il nostro genio tardorinascimentale a supplire al ricatto della finanza internazionale e delle sue agenzie di rating che ci condannano al default, perché la materia grigia italica compenserà quella dell’assenza di materie prime per le nostre industrie future, in cui tornerà un lavoro tayloristico ad alta intensità di manodopera che, per stare sui mercati internazionali, sarà totalmente sussidiato da una valuta senza valore internazionale. Come accadeva nella mai rimpianta Unione Sovietica (drammatica la ricorrenza tra qualche mese del centenario della Rivoluzione d’Ottobre!), dove lo Stato-Provvidenza garantiva a tutti la sussistenza minimale, in cambio della rinuncia alle libertà civili. Certo, si può fare. Si farà se prevarrà la demagogia del rifiuto assoluto della globalizzazione. Perché, è vero, a noi che c’importa se interi continenti ne hanno beneficiato nell’ultimo mezzo secolo; se centinaia di milioni di persone sono passate dalla povertà assoluta a pochissimi dollari al giorno di reddito pro-capite. Così avremo di nuovo frontiere superblindate, potremmo autorizzare i nostri VoPos ad aprire il fuoco contro chiunque tenti di entrare clandestinamente.
Certo, si può fare, ma bisogna anche armarci tutti. Perché quelli che faremo fallire (piccoli investitori esteri e soprattutto nazionali) per aver fatto default chiederanno giustizia e vendetta contro di noi. Che ci importa se, per riscaldarci, coltivare il nostro benessere da un secolo e mezzo a questa parte abbiamo ridotto a latrine inquinate e sottosviluppate interi continenti, che oggi muovono milioni di disperati verso le nostre coste e i confini di Fortress Europe? Davvero volete avere uno smartphone super evoluto a testa, in cui avete il mondo ai vostri piedi con fantastiche App, ma poi ritrovarvi agli albori del totalitarismo agendo il protezionismo più radicale e spietato? Scusate, ma quando la navigazione per il trasporto passeggeri colò a picco con l’entrata a regime dei voli transoceanici, le compagnie di navigazione e i marinai pretesero “protezione” dallo Stato?
Non riuscite a tassare e imporre l’Iva sull’enorme surplus creato dai servizi oggi disponibili con le App? Vi lamentate perché tutta l’informazione viaggia on-line (nel bene e nel male) a danno del cartaceo e dei posti di lavoro? Allora vi dico una cosa: create imprese come Google, Amazon, ecc. e fatene un planetario centro di servizi in cui (pagando le tasse giuste!) concentrate il meglio dell’informazione verificata e dei servizi alla persona, quelli dell’assistenza domiciliare, della cultura e dell’informazione in testa a tutti. Creerete così milioni di nuovi posti di lavoro per i giovani, e non solo. Lavorate sul massimo di robotizzazione, facendo fino in fondo il discorso di Bill Gates: ridistribuire con equilibrio e coscienza l’enorme surplus così prodotto, attraverso il reddito di dignità e un maggiore welfare per chi va sotto e non ce la fa.
Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:13