Lo Stato e la Chiesa,  discorso da riaprire

Non ci piace l’invadenza, l’interferenza e l’incredibile presenza mediatica della Chiesa nei fatti e nelle questioni che riguardano lo Stato, la sua laicità e autonomia. Non passa giorno, infatti, che la tivù non ci sommerga di servizi, interviste sul “Papa pensiero”, “Vaticano pensiero”, a proposito di argomenti che attengono alle scelte politiche del Paese. Sappiamo bene che su questo tema si corre il rischio (a proposito di Chiesa) di fare la fine di San Sebastiano, ma per come stanno le cose una riflessione appare indispensabile.

Indispensabile non solo per ritornare al fondamentale “Libera Chiesa in Libero Stato” di Cavour, ma anche per mettere i puntini sulle “i” sul tema della reciprocità. Che cosa accadrebbe, infatti, se lo Stato e la politica iniziassero pesantemente a intervenire sui temi squisitamente “Vaticani”, come ad esempio il celibato dei preti? Che cosa accadrebbe se l’interferenza della politica spingesse fortemente per il diaconato, sacerdozio ed episcopato al femminile? Che cosa accadrebbe se ci fosse una campagna politico-mediatica per avere, “che so”, un Papa femmina, una Papessa? Che cosa accadrebbe, infine, se per par condicio si chiedesse a Radio Vaticana lo stesso spazio per ogni tema laico, che la Chiesa, quotidianamente e incessantemente, ha in Rai?

Insomma, i “che cosa accadrebbe” sono tanti e senza voler allungare l’elenco è di tutta evidenza che, se così fosse, nascerebbero grossi problemi nei rapporti politico-istituzionali tra Vaticano e Governo italiano. Per tale ragione, la domanda sul perché invece si lasci che la Chiesa interferisca, godendo di spazi mediatici enormi su argomenti che attengono lo Stato italiano, più che lecita è doverosa. Qui non si tratta di barricarsi sul fatto che i “preti”, essendo cittadini con diritto di voto, abbiano giustamente piena libertà di espressione; si tratta invece di valutarne l’effetto sociale e le ricadute socio-economiche.

Sia chiaro, non ci riferiamo solamente agli interventi di “Sua Santità” su temi i cui “costi” ricadono sullo Stato italiano (accoglienza), ma anche a tanti altri che vedono la Conferenza Episcopale Italiana particolarmente presente. Per non parlare della serie di accordi, compresi quelli fiscali, che fino a oggi hanno avvantaggiato il Vaticano e penalizzato lo Stato.

In buona sostanza, il dubbio che il troppo di tutto, anche rispetto ad altre confessioni, generi delle distorsioni e dei limiti alla dimensione laica dello Stato, si pone eccome. Si dirà che la colpa è della politica italiana e della sua acquiescenza rispetto a ciò che abbiamo definito “troppo”, ma proprio per questo una riapertura del discorso sui rapporti Stato/Chiesa andrebbe fatto.

Insomma, in Europa noi siamo un caso limite d’interferenza, che non si riscontra nemmeno nella più cattolica Spagna, meno che mai in Francia. Ecco perché visto che ci accingiamo al aprire una nuova stagione di riforme, a partire dalla Carta costituzionale, forse una manutenzione dell’articolo 7 sul Concordato andrebbe effettuata. Del resto quella che per ultimo Bettino Craxi fece nel 1984 non doveva essere altro se non l’inizio di un percorso a tappe, su una nuova regolazione e divisione fra i compiti della Chiesa e quelli dello Stato. Non vi è dubbio, infatti, che solamente la laicità sostanziale e fattuale, molto più di quella apparente, garantisca dalla deriva pseudo-confessionale che a tratti ci ritroviamo a subire.

Per questo si riparta da Cavour, dalla libertà vera, non suggestionata né suggestionabile, da quella infine affrancata dalle tante ipocrisie che la storia stessa per prima ha condannato e disvelato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:44