
L’effetto della sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità parziale dell’Italicum, sopprimendo il ballottaggio e l’opzione sulle pluricandidature, è quello di trasformare un sistema elettorale maggioritario in un sistema proporzionale. La Corte ha cambiato il metodo elettorale della Camera dei Deputati, passando da quello scelto con legge del Parlamento al suo opposto.
Il giudizio non è rimasto nei limiti della valutazione di costituzionalità della legge, ma - con una inusuale tecnica della soppressione di alcune parti di essa, seppure non imposta dall’adeguamento alla Costituzione - ha creato una legge nuova, che la stessa Corte, nel suo comunicato stampa, si è premurata di definire (excusatio non petita) “di immediata applicazione”. Con detta precisazione, la Consulta ha mostrato, addirittura, la consapevolezza di istituire un nuovo sistema elettorale immediatamente applicabile.
Con ciò invadendo (e la circostanza appare quantomeno singolare, trattandosi di un giudice costituzionale) la sfera di attribuzioni del Parlamento, titolare della funzione legislativa, secondo il principio della democrazia rappresentativa, estraneo alla natura e al ruolo della Corte.
L’Italicum (giusto o sbagliato che sia, ma non è questo il punto) prevedeva un sistema maggioritario, nel senso che - o al primo turno per la lista che abbia ottenuto il 40 per cento dei voti o al secondo turno all’esito del ballottaggio tra le due liste più votate al primo - una lista otteneva indefettibilmente almeno 340 seggi su 630 alla Camera dei deputati, secondo la logica maggioritaria, la quale tempera la rappresentanza, per assicurare la governabilità.
A seguito della sentenza della Corte costituzionale, qualora, come è probabile, nessuna lista ottenga al primo turno il 40 per cento dei voti, i seggi sono distribuiti secondo il metodo proporzionale, che è fondato sul principio “tanti voti, tanti seggi” ed è l’opposto del maggioritario. Non solo, ma quale ulteriore effetto della pronuncia, mentre l’Italicum come approvato dal Parlamento escludeva coalizioni tra liste diverse, con il nuovo sistema creato dalla Corte le liste tenderanno a fondersi subito in una sola, con l’obiettivo di ottenere il 40 per cento dei voti alle elezioni e vedersi attribuire così 340 seggi. Non si discute se sia migliore l’uno o l’altro effetto: si contesta invece che la Corte, con una sua decisione, possa produrre questo nuovo effetto.
Eppure l’ordinamento appresta precauzioni tese ad impedire, anche alla Corte costituzionale, organo di chiusura del sistema, di diventare legislatore, esorbitando dai suoi poteri costituzionali. La più importante di queste precauzioni è costituita dal requisito della rilevanza della questione di costituzionalità nel giudizio incidentale, ovvero dalla necessità che vi sia una legge da applicare da qualunque giudice della Repubblica, in un processo teso a dirimere una controversia in un caso concreto. Qui nessuna controversia sussisteva, non essendo in corso né essendosi svolte le elezioni, e pertanto le questioni sollevate dai Tribunali di Torino, Perugia, Trieste, Genova e Messina erano inammissibili e tali dovevano essere dichiarate dalla Corte.
Ammettendo invece una questione astratta, l’antidoto della rilevanza sopra illustrato viene meno e ciò fa scivolare l’ordinamento nella deriva istituzionale, ponendo in pericolo non solo l’assetto dei poteri delineato dalla Costituzione repubblicana e confermato dal recente referendum del 4 dicembre 2016, ma la stessa democrazia, che riserva al Parlamento l’approvazione delle leggi e ai giudici, anche a quello costituzionale, l’esercizio della giurisdizione, che leggi nuove non può comunque creare.
Non a caso, l’articolo 28 della Legge n. 87 del 1953 testualmente recita: “Il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”. Pare che la Corte lo abbia inopinatamente dimenticato!
(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46