Europeismo di ritorno

Gli interventi di Silvio Berlusconi e Romano Prodi nei giorni scorsi non sono passati di certo inosservati. E la cosa che più è saltata agli occhi è stata una certa consonanza, non solo di toni. Pur con ruoli diversi, almeno per il fatto che Berlusconi è ancora un leader politico in attività, entrambi gli ex-premier hanno una cosa in comune. Che, a rileggere la storia degli ultimi vent’anni, non è quisquilia: ovvero, sono gli unici due che possono vantare vittorie elettorali.

Il Professore, a sinistra, è stato il solo a battere Berlusconi veramente. E c’è riuscito per ben due volte. Cadendo, poi, più per questioni interne al suo schieramento che per capacità dell’avversario. Oggi Prodi vorrebbe un “nuovo Ulivo”. Un centrosinistra che abbia delle fattezze simili a quello che lo ha appoggiato nel 1996 e nel 2006. Il problema, e non è di poco conto, è che a sinistra del Partito Democratico non c’è rimasto granché. Sinistra Italiana non appare particolarmente “quotata” in termini elettorali, e nasce già divisa. Giuliano Pisapia, con il suo movimento “in fieri”, che dovrebbe partire dai sindaci, non sembra in grado di aggregare voti i quali, comunque, graviterebbero già in area Pd. Il problema è che la sinistra a sinistra del Pd è contraria, prima di tutto, a Matteo Renzi. Il quale si è attirato anche gli strali della Cgil, rendendo più complicato qualsiasi accordo.

Berlusconi ha anche lui problemi di carattere “aggregativo”. Ma alla sua destra, però, avendo difficoltà a trovare alleati. Infatti, il capo di Forza Italia sta tentando di “affrancarsi” dal populismo di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, attraverso un’azione politica più responsabile nei toni e nel merito. A destra non c’è solo una questione di leadership tra Salvini e Berlusconi. Ma anche di “impianto” politico. L’Uomo di Arcore sembra aver dismesso i panni del populista, e non intende rincorrere i due epigoni del lepenismo italiano sul loro stesso terreno. Sa che i suoi numeri non sono lontanamente paragonabili a quelli del passato. Auspica una legge proporzionale per poter contare di più nell’agone politico. E svolgere un ruolo da ago della bilancia, simile a quello svolto da un Partito Liberale tedesco o inglese. Si pone, ora, come europeista convinto. Muovendo all’Unione europea, in sostanza, gli stessi rilievi del suo vecchio antagonista, Prodi. Che dell’Europa è stato sempre un più convinto sostenitore, oltre che presidente della Commissione.

Perché lo scenario è fosco per l’Unione europea. La vittoria di Donald Trump, il suo atteggiamento pro-Putin, l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue e il suo il ritorno alla “special relationship” con gli Stati Uniti, sembrano lasciare l’Europa nel mezzo. In una sorta di Purgatorio da dove non riesce ad uscire. Se non con il miracolo di qualche “indulgenza” altrui. È l’irrilevanza, il vero problema. Che, se pur non vera nei numeri, vista la forza economica, sembra essere la principale sua caratteristica attuale. Ovviamente, il nazionalismo, che la sta attraversando a tutte le latitudini, e che inneggia ad un ritorno ai confini nazionali, non sembra fare i conti né con la realtà, né con i numeri. Soprattutto i rapporti tra Usa ed Europa sono molto forti. Ed un ritorno agli Stati-nazione, per noi europei, non potrebbe essere altro che una diminuzione di peso specifico nei confronti di giganti.

Sul sito del Parlamento europeo, per quanto riguarda i rapporti Usa-Ue, troviamo scritto che: “L’Ue e i suoi partner nordamericani, Stati Uniti d’America e Canada, condividono i valori comuni di democrazia, diritti umani e libertà economica e politica, e hanno interessi coincidenti in materia di politica estera e di sicurezza [...] Gli Usa sono il più stretto alleato dell’Ue sul fronte della politica estera. I partner cooperano strettamente, consultandosi sulle rispettive priorità internazionali e operando spesso per promuovere gli interessi comuni nelle sedi multilaterali. Collaborano nell’ambito della politica estera in vari contesti geografici [...]”.

Fin dal 1972, gli Stati Uniti e la Ue (prima Cee) hanno intrapreso relazioni politiche in ambito legislativo: il dialogo transatlantico tra legislatori (Tld), che riunisce deputati del P.E. e della Camera dei Rappresentanti. Relativamente al 2014, l’Ue ha mantenuto la propria posizione di principale partner commerciale degli Usa per le importazioni di merci. “Nel 2014 gli Usa erano la prima destinazione delle esportazioni dell’Unione, assorbendo il 18,3 per cento delle esportazioni totali di merci dell’Ue (contro il 9,7 per cento della Cina). Gli Usa erano il secondo partner dell’Ue in termini di importazioni e da essi proveniva il 12,2 per cento delle importazioni totali dell’Ue. In tale contesto, gli Stati Uniti si sono posizionati dietro la Cina, Paese d’origine del 17,9 per cento delle importazioni totali dell’Ue, ma davanti alla Russia, che ha fornito il 10,8 per cento delle importazioni totali dell’Unione [...]. Le esportazioni di servizi dall’Ue agli Usa sono aumentate fra il 2012 e il 2014, così come le importazioni di servizi nell’Unione dagli Usa. Nel 2014 l’Ue ha registrato un’eccedenza commerciale di 11,6 miliardi di euro nel campo dello scambio di servizi con gli Usa [...]”. Sempre secondo quanto riportato dal Parlamento europeo, l’Ue è il maggior investitore negli Usa, così come gli Usa sono il maggior investitore nell’Ue.

Ora, bisognerebbe chiedere ai nostalgici dello Stato-nazione se tutto questo sarebbe stato possibile, in un’era di globalizzazione, facendo ricorso solo alle prerogative, e ai mezzi, nazionali. O se, invece, l’Unione europea non è stato un volano, nonché un contraente forte, per arrivare a tali numeri. Questo anche Trump lo sa bene. Il problema non è (solo) Trump, e la sua voglia di isolazionismo. Ma è l’incapacità dell’Europa di farsi percepire come indispensabile, forte e affidabile. È ovvio che questo è figlio di problematiche complesse. Ma che non si risolvono certo con le ricette di Viktor Orbán.

Berlusconi ha detto che “il sogno europeo è oggi più attuale che mai”. Non so se si sia convertito ad un pieno europeismo. Lo spero. Ma è probabile che oggi veda nello scenario politico italiano ed europeo il germe della disgregazione senza alternative politiche valide.

Nella sua introduzione al Manifesto di Ventotene, Eugenio Colorni scriveva che, vedendo i risultati nefasti di guerre e nazionalismi, “si fece strada, nella mente di alcuni, l’idea centrale che la contraddizione essenziale, responsabile della crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l’esistenza di Stati sovrani [...] consideranti gli altri Stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in situazioni di perpetuo bellum omnium contra omnes”.

Il ruolo della politica e della memoria, in questo momento, sono fondamentali.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:10