Giustizia: la prepotente urgenza di 5 anni fa

Giovedì 28 e venerdì 29 luglio 2011, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, al Senato della Repubblica, si tenne il convegno dal titolo “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano” - promosso dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito - per la riforma della giustizia italiana.

L’intervento del Presidente Giorgio Napolitano, rimasto famoso per la sua intuizione rappresentata efficacemente come “prepotente urgenza” sembrava autorizzare, o addirittura suggerire, la speranza di una immediata attenzione – da parte dei parlamentari - al disastro dell’ingorgo giudiziario e delle carceri sovraccariche.

Per quanto prepotente fosse quell’urgenza, sta di fatto che passarono due anni abbondanti prima che accadesse qualcosa: e furono due anni in cui i Radicali non cessarono mai le azioni nonviolente coordinate in Satyagraha, per tener vivo il dibattito sul tema scottante di giustizia e carceri, che li impegnava da molti anni. Fioccavano le condanne, da parte della Corte europea dei diritti Umani, nei confronti dello Stato italiano colpevole di ripetute violazioni della Convenzione europea firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata negli anni da vari Paesi: ben 44 alla fine del 2003.

I Radicali diffondevano frasi drammatiche, che venivano ripetute affinché venissero comprese e memorizzate: il divieto di “pene o trattamenti inumani e degradanti” sancito dall’articolo 3 della Convenzione. E il diritto ad una causa “esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un Tribunale indipendente e imparziale costituito per legge” prescritto dall’articolo 6 della Convenzione.

Molto limitata l’attenzione di giornali e televisioni, nessun ascolto da parte dei “rappresentanti del popolo sovrano” installati sui seggi parlamentari, ininterrotta la “moral suasion” da parte di Marco Pannella e dei suoi Radicali. E finalmente la prepotente urgenza dell’estate 2011 sfociò nel solenne messaggio alle Camere –a norma di Costituzione – da parte del Presidente Napolitano, nell’ottobre del 2013: due anni e tre mesi dopo.

Nel Natale immediatamente successivo il Partito Radicale, affiancato da un imponente numero di associazioni ed istituzioni popolari e da gente comune, marciò in silenzio da San Pietro verso la sede del Governo, chiedendo amnistia, indulto, giustizia.

La Presidente della Camera dei deputati, dottoressa Laura Boldrini, rispondendo ad una mia lettera, mi spiegò che il Parlamento stava animatamente dibattendo in commissione i problemi segnalati da noi Radicali, e mi assicurò testualmente: “… il lavoro proseguirà con grande impegno nei prossimi mesi per giungere a quelle risposte concrete e risolutive che possano consentire all’Italia di voltare pagina e di garantire anche negli istituti di pena il pieno rispetto dei diritti umani”.

Apprezzai molto la lunga lettera della presidente Boldrini e la sua gentilezza nel dedicare tanto tempo alle mie preoccupazioni. Tanto più apprezzavo la risposta della presidente dei deputati, in quanto alla stessa lettera, che avevo indirizzato anche al senatore Pietro Grasso, il presidente del Senato non aveva dato alcun cenno di risposta. Fedele evidentemente al suo costume di ex magistrato, non aveva ritenuto necessario rispondere ad una semplice cittadina europea tanto scostumata da dichiararsi “militante radicale”.

Poiché avevo deciso di apprezzare la risposta ricevuta dalla presidente Boldrini, decisi anche di affidarmi fiduciosa alle sue promesse, certa che ben presto – grazie all’intensa attività dei deputati – l’Italia avrebbe “voltato pagina ed avrebbe garantito anche negli istituti di pena il pieno rispetto dei diritti umani”, così come lei mi aveva scritto: ma non smisi di insistere, come i miei compagni, sulla nostra richiesta di giustizia e di amnistia.

Dalla “Marcia di Natale 2013” alle visite ispettive che i militanti e dirigenti radicali stanno effettuando in questi giorni in 29 istituti penitenziari italiani, sono passati altri tre anni. Nelle carceri c’è ancora una folla di detenuti che hanno meno spazio vitale di quello regolamentare, pochissimi di loro hanno un lavoro, centinaia di detenuti vedono raramente il magistrato di sorveglianza e saltuariamente lo psicologo; molti detenuti ammalati anche gravemente non sono curati in modo adeguato, e il personale di sorveglianza è spesso sottodimensionato. Tuttora si verificano suicidi: non solo da parte di carcerati, ma anche da parte di carcerieri, vittime – insieme – delle continue difficoltà quotidiane, della mancanza di luce naturale, della noia di ore immobili, della nausea del tempo che non passa mai.

Nei Tribunali, i magistrati rinviano già i processi alla fine del 2017 ed al 2018: ogni giorno si trovano in udienza dieci, venti cause, nella impossibilità materiale di svolgere il dibattimento. Le cancellerie rigurgitano di faldoni destinati alla prescrizione, con buona pace del diritto ad un processo equo in tempi ragionevoli.

Dalla “prepotente urgenza” di luglio 2011 a questo dicembre 2016 sono passati cinque anni e mezzo, e nulla lascia sperare che in un prossimo futuro Camera e Senato vogliano dibattere di amnistia, di indulto, di riforma della giustizia: i parlamentari sono troppo occupati a discutere sulla convenienza di indire nuove elezioni, mentre la legge elettorale vigente è dichiarata anticostituzionale, e nessuno sa come sostituirla. E, per di più, qualcuno si ricorda che una nuova legge elettorale non può essere applicata ad una consultazione popolare prima che trascorra almeno un anno dalla sua approvazione.

Intanto, il tempo passa: passa veloce, al di fuori delle mura carcerarie. Dentro, invece, il tempo è inchiodato al nulla.

(*) Militante del Partito Radicale

(**) Intervento Napolitano: https://www.youtube.com/watch?v=eKDw9wvqpGw

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03