Marco Pannella, ricordo indelebile

Ricordo un aneddoto di Marco Pannella, che mi lega a lui.

L’ho conosciuto al Parlamento europeo, dove lavoravo allora come semplice stagista, senza sapere che avrei frequentato ancora quei corridoi per altri due anni e incontrato Pannella. Lui partecipava ad un congresso sulla libertà di ricerca scientifica: era del resto l’uomo dei diritti, delle libertà. Gli unici doveri che raccomandava al mondo li soffriva sulla sua pelle. Nell’emiciclo dell’aula di Bruxelles è in ultima fila, ascolta attento tutti i relatori, non si perde una parola. Lui era l’uomo delle parole, del dialogo, del confronto infinito.

Anche in ultima fila, il magnetismo della sua figura era fortissimo: c’era quasi la fila per andarlo a salutare. Italiani, polacchi, spagnoli, Inglesi: tutti erano attratti da quest’uomo coi capelli bianchi raccolti in una coda e la cravatta gialla e sgargiante. A un certo punto, da non si sa quale angolo della giacca, estrae il suo sigaro e lo accende. È il panico. Spuntano fuori dal nulla inservienti che gli chiedono di spegnerlo, anche energicamente. Lui li guarda, prima sorpreso poi infastidito, e a quel punto gli urla: “Io faccio quello che cazzo voglio!” ed esce dall’emiciclo!

Il silenzio piomba nell’aula. Lui era l’uomo della teatralità, del palcoscenico, dei riflettori accesi su se stesso per le proprie battaglie. Lo rincorro, non lo conoscevo anche se avevo ascoltato la sua voce, ormai familiare, per ore, ore e ore. Siamo fuori dall’aula, e mi presento. Sorride, mi dà un buffetto. Cominciamo a parlare di un comune amico. Mi racconta di quando hanno mangiato insieme la prima volta, l’aveva invitato a casa sua e lui stava facendo lo sciopero della fame: “Cucinavo per i miei ospiti, era come mangiare con loro. Altrimenti era una sofferenza”.

Pannella era l’uomo degli scioperi della fame, delle iniziative roboanti, dei principi così forti che la sofferenza della persona era nulla e non poteva che piegarsi al loro cospetto. Mi chiede dove può trovare un distributore automatico: ha fame e se non fuma ama gli snack e le merendine. Ho una foto bellissima: mentre mangiamo uno snack insieme, innaffiato da una risata e una bottiglietta d’acqua. Parliamo di Bruxelles, mi suggerisce qualche ristorante assurdo. Parliamo di politica, e capisci solo guardando i suoi occhi che la sua visione è diversa e lontana dall’ordinario. Quando ci salutiamo mi abbraccia, come fossimo vecchi amici. Non ricordo un abbraccio così forte e così sincero: eppure ci conoscevamo da pochi minuti. Mi mancano i suoi abbracci, insieme a quegli occhi che sapevano guardare così lontano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:01