L’Islam e l’integrazione   (quasi) “impossibile”

Se non si prendono di petto due temi cruciali: 1) la questione delle migrazioni inarrestabili; 2) il collegato problema dell’integrazione delle popolazioni islamiche, il rischio dell’abbandono dell’Europa ai populismi, di destra e di sinistra, è altissimo.

La questione della fissazione delle quote d’ingresso è all’attenzione di tutti i cenacoli interni e internazionali. È auspicabile che trovi le giuste risposte nel superamento del trattato di Dublino. Più difficile è la questione della cosiddetta “integrazione” degli emigrati di religione islamica. Perché l’esteso catalogo dei diritti occidentali, contrasta con i rigidi recinti in cui l’islam rinchiude i propri credenti.

La Shari’a si fonda su una triplice disuguaglianza: tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, tra la comunità dei musulmani (Umma) in quanto tale e le singole sue componenti. Ognuna di queste disuguaglianze è, per tutti gli ordinamenti democratici, intollerabile. La domanda allora è: di fronte al sistema dei diritti dell’Occidente, è sopportabile che una parte degli uomini e delle donne che vi abitano possa violare sistematicamente le regole democratiche della convivenza civile e familiare?

Per diventare cittadini in Europa è necessario condividerne i valori. Per questo il programma elettorale di François Fillon, candidato alla Presidenza della Repubblica francese per la destra dei Républicains, subordina l’acquisizione della cittadinanza francese alla piena integrazione nazionale di chi la richiede. La disuguaglianza nel rapporto uomo-donna, in molti Paesi mediterranei, è stata sottoposta a limitazioni, che ne hanno mitigato la tradizionale radicalità. Tuttavia, sulla base dei presupposti religiosi, la disparità tra i sessi resta ancora un dato di fatto dell’architettura giuridica delle terre dell’Islam. La discriminazione religiosa, in base al precetto coranico, secondo cui i musulmani sono superiori a qualsiasi gruppo religioso (Corano III, 110), è una vera e propria discriminazione giuridica. Per questo, nelle terre dell’islam si è cittadini a pieno titolo solo se si è credenti di religione musulmana. Questa discriminazione non vale solo per le Terre dell’Islam, perché la Shari’a è diritto “personale”. Ti accompagna ovunque tu vada e ti vincola, a prescindere dalla giurisdizione dello Stato in cui emigri. Tutto questo perché, nella concezione islamica, non esistono diritti oggettivamente umani. Il bene in sé non esiste. Mentre è bene soltanto ciò che Allah definisce tale.

Su queste basi teologiche, la cultura islamica continua a delineare le proprie regole come una gabbia ferrea (chi entra non ne può uscire), dentro cui tenere unita la comunità degli uomini e delle donne, attorno al vincolo religioso. Infatti, la religione guarda soprattutto alla comunità, piuttosto che a chi ne fa parte, in base all’assunto che il bene della comunità equivale al bene delle sue componenti. Questo è il quadro teologico-ideologico che vincola ogni evoluzione dell’islam. È per questo che, anche i movimenti modernizzatori che propugnano la separazione tra Stato e Chiesa (religione e diritto-politica), incontrano ostacoli pressoché insormontabili.

Nel confronto con le componenti meno intransigenti si coglie talvolta la condivisione della necessità che i musulmani d’Italia e d’Europa debbano integrarsi con la comunità che li ospita. Tuttavia, se si va oltre le pur meritevoli dichiarazioni di auspicio, si coglie che l’idea d’integrazione cui si guarda è impropria ed inaccettabile. Infatti, l’unica prospettiva condivisibile da parte dell’Islam è quella che propone la convivenza della Ummah islamica, in quanto tale, con la comunità del popolo che ti ospita, nella chiusura più totale, però, verso la condivisione di rapporti interpersonali di carattere religioso, culturale, politico e, soprattutto, familiare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02