Banche: che fine ha fatto la vigilanza?

Che non si possa fare a meno delle banche è ovvio, quello che è molto meno ovvio invece è il fatto che questa ragione si trasformi in Italia in una sorta di assoluzione a prescindere degli istituti di credito.

Non si contano nel tempo gli elenchi dei dissesti finanziari delle aziende di raccolta, come non si contano i casi in cui ogni volta a pagare sul serio siano stati solo i risparmiatori. Eppure da anni tutti i governi che hanno dovuto mettere mano a provvedimenti d’intervento e salvataggio sulle banche si sono sbracciati per giustificare quanto ogni operazione fosse a tutela esclusiva del risparmio.

Bene, anzi male, se facessimo un censimento di quanti italiani siano stati depauperati, direttamente o indirettamente, dai disastri, dalla mala gestione, dai raggiri subiti, uscirebbe un plebiscito accusatorio. Potremmo per questo fare un lungo elenco di banche o di istituti finanziari che, per un motivo o per l’altro, hanno inguaiato tantissimi cittadini che si sono fidati. Negli ultimi anni, poi, a seguito di una serie di provvedimenti in sede europea sulla solidità dei sistemi bancari, la situazione italiana si è andata colpevolmente aggravando. La responsabilità di tale aggravamento nella quasi totalità dei casi è sempre la stessa: azzardi sulla finanza creativa, prestiti ballerini, finanziamenti irresponsabili e spregiudicato utilizzo delle raccolte.

Per farla breve, distrazione e mala gestione, acquisizioni truffaldine e operazioni opache, che hanno creato buchi crescenti e insostenibili nei bilanci di alcuni istituti di credito. Anche qui potremmo fare degli elenchi, ma sarebbe inutile, tanto noti e recenti sono i nomi delle aziende di credito in pista per questo o quel problema. Quanto siano costati ai cittadini e alle casse pubbliche, che tradotto vuol dire sempre a tutti noi, gli interventi riparatori dello Stato sulle banche in realtà non è dato di sapere. Certo è che parliamo di cifre colossali. Del resto, per fare l’esempio più attuale sul Monte dei Paschi di Siena ci si appresta a chiedere al Parlamento uno sforamento una tantum del debito pubblico di venti miliardi di euro, una super-manovra finanziaria vera e propria. Ma quello che più sconcerta e indigna non è solo il fatto che quasi sempre i responsabili dei dissesti o non si sono trovati o l’hanno fatta franca, ma che fra le riforme sbandierate per indifferibili non c’è ne sia stata una sul credito e sugli organi di controllo e di vigilanza. Siamo infatti sicuri che in un Paese ove la vigilanza e il controllo sulle operazioni finanziarie, di credito, di Borsa, di mercato, fosse attenta e inflessibile, certe cose non potrebbero accadere. Qui non si tratta di accusare nessuno, ma che esistano perplessità e stupore sull’efficienza, la puntualità, la scrupolosità dei controllori su molte operazioni finite in malora è fuori dubbio.

Ecco perché delle due l’una, o gli organi di vigilanza hanno sbagliato, più o meno colpevolmente, oppure non dispongono di regole adeguate per poter intervenire come servirebbe. Bene, ammesso e non concesso che ci si trovi nel secondo dei casi, perché negli anni non si è posto mano a una riforma profonda della Banca d’Italia e della Consob? Oltretutto parliamo di organismi strapagati, opulenti, pieni di personale, dunque largamente in grado di fare e di svolgere con estrema puntualità servizi di controllo a tutela del risparmio e dell’investimento. Del resto non c’è operazione di salvataggio che possa reggere se non si provvede a un sistema di eccellenza preventiva, che impedisca il ripetersi di comportamenti più o meno fraudolenti. Per questo in considerazione del fatto che sulla necessità di riforme vi sia da tutte le parti un consenso corale, perché non iniziare proprio da qui? E visto che il Governo Gentiloni è nato per fare piuttosto che galleggiare, questo è un ottimo motivo per dimostrarlo. Buon lavoro e tanti auguri...

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:53