Sommerso dai “No”, Renzi non si arrende

All’Assemblea nazionale del Partito Democratico, Matteo Renzi, dopo aver dichiarato che “... non abbiamo perso, ma abbiamo straperso”, ha puntato l’indice soprattutto verso il Sud, i giovani e il web, ignorando il resto d’Italia dove ha perso comunque e, aggiungiamo noi, malgrado le vittorie del “Sì” registrate in Emilia-Romagna, Toscana e Trentino-Alto Adige. La differenza del voto nel Nord, Centro e Sud sta solo nella forbice più accentuata nel Mezzogiorno, che complessivamente arriva e supera il 69 per cento dei consensi al “No”, mentre al Nord ci si attesta oltre il 57 per cento e al Centro si è poco sotto questa soglia.

Quindi una débâcle in tutto il Paese, senza alcuna scusante, sia sui quesiti referendari (quelli palesi e quelli non inseriti nella scheda elettorale), che nel messaggio politico che col referendum si è voluto far arrivare al pifferaio fiorentino ed al suo partito. Nella valanga di “No”, infatti, reso ancor più grave dell’aumento consistente degli elettori, c’era certamente il rifiuto della riforma costituzionale che sarebbe stata, praticamente, l’anticamera di un regime autoritario con “l’uomo solo al comando”, ma c’era anche il rifiuto della non-politica del giovanotto toscano. Un rifiuto più accentuato nel Meridione perché al Sud la permanenza nella zona di crisi è più sentita che in altre zone.

Una delle prime cose dette da Renzi quando ormai era chiara la sconfitta è stata: “Non credevo che potessero odiarmi così tanto”. L’ex Premier si domandava cosa avesse sbagliato o cosa non avesse fatto correttamente. Già queste domande, a se stesso, dimostravano a sufficienza che egli aveva, ed ha purtroppo ancora, un metro di valutazione della situazione del nostro Paese che è totalmente diverso da quello che usa la stragrande maggioranza degli italiani. Sperava, povero illuso, che sarebbe stato il tempo a risolvere i guai che stava e sta ancora attraversando il Paese, e si esaltava quando appariva uno zero virgola, ricordando a tutti che “l’Italia c’era”, e implicitamente perché c’era lui. Ma la gente (salvo la sinistra cashmere) non si esaltava per nulla perché non si può vivere per tre anni (che si sommavano agli altri consumati da Mario Monti e Enrico Letta) solo con la speranza fasulla che la crisi stava volgendo al termine, mentre lui continuava a bombardare il Paese con i suoi annunci, le sue promesse, le mance e le mancette (vere e false che fossero), e inaugurava solo vecchi lavori, avviati da altri, ma fatti credere come prodotti propri.

Nel Sud poi l’ha fatta veramente grossa: ha inventato i falsi Patti per lo Sviluppo ed ha istituzionalizzato gli imbrogli. Nei Patti non c’era, infatti, nulla di nuovo ma solo l’elenco di finanziamenti “dormienti” che venivano spalmati, per quel che restava, nel periodo 2014-2020 (poche briciole per regioni che hanno necessità di cure da cavallo). E allora fiato alle trombe e via con gli imbrogli veri e propri.

In Calabria, la prima è stata quella che è andata a scadenza il 22 dicembre e riguarda l’A3 che viene presentata come “finita” ma che va letta come “sono finiti gli impegni” perché, più semplicemente, non saranno finanziati ed appaltati 4 tratti della stessa A3 per ben 58 chilometri. tre dei quali, tra i più brutti e pericolosi, resteranno come furono costruiti nel 1970. E poi, sempre per la Calabria, ma assieme alla Sicilia, la boutade della costruzione del Ponte ma, come ha dichiarato il fanfarone, diventato anch’egli benaltrista, bisogna: “Primo, mettere soldi nell’edilizia scolastica; secondo, banda larga; terzo, bisogna fare un grande piano di infrastrutture, di completamento di quelle che mancano; quattro, bisogna far viaggiare i treni in Sicilia, sono un’offesa al trasporto pubblico locale; quinto, bisogna mettere a posto i viadotti in Sicilia”. Con la promessa del Ponte (sine die) ha tentato di tacitare i favorevoli, mentre con la suddetta dichiarazione ha teso a non perdere quelli che erano contrari.

E questo sarebbe stato il grande condottiero che doveva salvare il Paese? Gli italiani lo hanno capito benissimo, ma la lezione che hanno dato al novello Napoleone sembra non aver ottenuto un reale ripensamento da parte dello sconfitto. Dimessosi da Premier (non poteva fare altrimenti data l’ampiezza della batosta) non ha voluto onorare l’impegno di abbandonare la politica e tenta di risalire la china con la spocchia e la presunzione che ormai tutti conoscono benissimo. Un posto da parlamentare per uno che tiene famiglia riuscirà a conquistarlo, ma non pretenda di più.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:57