
La vicenda che avrebbe segnato il cammino politico del Movimento 5 Stelle pareva, per chi ai miracoli non ci crede, scritta. Soprattutto se agli uomini di Beppe Grillo fosse capitata la ventura, come successo a Roma, di provare l’ebrezza del potere. E, tale considerazione da “veggente”, muoveva da una constatazione di facile lettura, ovvero l’incompetenza del personale politico.
Ai novizi che entravano in fabbrica, gli operai ricordavano sempre: “Hai voglia a te, a tirar la lima!”. Non voleva essere una minaccia, ma un’esortazione, e un ammonimento, Perché, per diventare una buona maestranza, si deve fare molta esperienza. La classica gavetta, insomma, attraverso cui si acquistano competenze in funzione di responsabilità. In questo senso i grillini non hanno preso scorciatoie, o fatto corsi intensivi, ma si sono buttati col paracadute. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Peccato che, dopo il lancio, il paracadute non si sia aperto, e pare si stiano schiantando sugli italiani “de Roma”: molti dei quali li aspettavano a braccia aperte, sperando in atterraggi più morbidi. Ma la manna, ancora una volta, non piove dal cielo. E i matrimoni non si fanno con i fichi secchi, così come l’attività politica non la possono esercitare persone impreparate, pur sedicenti oneste. Perché l’incompetenza può generare danni gravi come la disonestà.
La politica è di certo una forma di attività particolare. Di per sé non vuole obbligatoriamente dei titoli per l’accesso. Richiede, indubbiamente, delle capacità tecniche, rispetto all’ambito che si intende seguire nello specifico; soprattutto in un’epoca come questa, in cui la complessità è un tratto costante di ogni ambito decisionale.
Anche l’Unione europea, viste le sfide che la globalizzazione ci impone quotidianamente, si è posta il problema delle “competenze chiave” necessarie per affrontare il futuro da parte dei suoi cittadini. E nel 2006 ha emanato la Raccomandazione 2006/962 CE (del Parlamento e del Consiglio) in cui le ha specificate. Le “competenze chiave”, così elaborate, risultano essere otto. Ma le ultime quattro appaiono attagliarsi molto bene “all’uomo politico”, e precisamente: “imparare a imparare”, “competenze sociali e civiche”, “spirito di iniziativa e imprenditorialità” e “consapevolezza ed espressione culturale”. Appare chiaro, da una scorsa veloce, che queste “linee guida” (che prescindono dal conseguimento di titoli accademici) siano state totalmente disattese, soprattutto se andiamo a guardare nelle vicende capitoline; segno, prima di tutto, di un’impreparazione sia tecnica che politica.
Quello del politico è un lavoro “speciale”, perché esserlo, un politico, vuol dire candidarsi al futuro ruolo di classe dirigente. Ruolo che non si improvvisa. Max Weber ha sottolineato che il “concetto di politica è estremamente ampio e comprende ogni sorta di attività direttiva autonoma”. Può essere identificata come “l’attività che influisce sulla direzione di una associazione politica, cioè, oggi, di uno Stato”. Insomma, attraverso la politica, si comanda. E per farlo, se non basta essere un bravo tecnico in qualche disciplina, a maggior ragione è meglio starne lontani se, al massimo, si hanno solo buone intenzioni. Ma dove si acquisiscono queste competenze? Dove i grillini, se ne avessero voglia, dovrebbero andare a fare dopo-scuola? Premesso che il bello della politica è che, titoli o non titoli, è accessibile a tutti; il luogo dove se ne impara l’arte, vuoi o non vuoi, è il partito (il corpo intermedio). È in sezione che si affinano gli strumenti per far sintesi delle complessità; dove si impara la distinzione dei ruoli e delle responsabilità. Dove le procedure di selezione coincidono con quelle di elezione, che sono ben diverse dalla licenza libera di nomina. Nella sezione sotto casa lo streaming lo fai quando apri la porta e ti metti seduto ad un tavolo con altre persone a parlare. I problemi della “gggente” li impari a conoscere perché ti confronti ogni giorno con il fruttivendolo, il pizzicagnolo, l’avvocato, il piccolo imprenditore e l’operaio. E, se sarai bravo a risolvere i loro problemi di “prossimità”, forse vieni eletto alla circoscrizione. E da lì, che ne sai, potresti finire anche in Parlamento, dopo accurata e adeguata gavetta. La politica del “sacro blog” è una delle più grandi mistificazioni della partecipazione. È come voler pranzare tutti insieme, stando però ognuno seduto a casa sua, mentre il tavolo dovrebbe essere comune. Ne viene manipolata tutta la filiera di preparazione e selezione del personale politico del futuro, dove un “clic” ne determina l’ascesa.
Nella definizione delle “competenze sociali e civiche” della Raccomandazione 2006/62 CE troviamo incluse le capacità interpersonali e interculturali atte a risolvere i conflitti ove necessario. “La competenza civica dota le persone degli strumenti per partecipare a pieno alla vita civile grazie alla conoscenza dei concetti e delle strutture sociopolitiche e ad una partecipazione attiva e democratica”.
È chiaro che il Movimento 5 Stelle non disponga, da quanto si vede, né di queste competenze, né dei luoghi adatti per formarsele. Anche perché quei luoghi sono stati considerati “il problema”. Quando, invece, sono la soluzione, se riportati ad un funzionamento virtuoso. E tirati fuori dalle melme del malaffare, che li ha snaturati a burocrazia, la quale sembra autoalimentarsi. Anche i più coriacei avversari della partitocrazia non hanno mai messo in dubbio la funzione dei corpi intermedi all’interno di una società che accetta il metodo liberal-democratico come base comune di convivenza. Ne stigmatizzavano il loro malfunzionamento, non la loro importanza. Ma, questa, si chiama cultura politica, roba che oggi, e a più latitudini, appare un ferro vecchio novecentesco. E per di più arrugginito e pericoloso. Perché il primo comandamento è “fare piazza pulita”, abbattere ogni intermediazione, mischiarsi al popolo, perché il politico deve essere “della gente” e non “per la gente”.
Eppure, sta scritto chiaro e tondo in Costituzione, il cui l’articolo 49 recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Il resto è un pericoloso surrogato, espressione più di quel “Abbasso tutti”, posto in prima pagina da Guglielmo Giannini, il 27 dicembre 1944, sul primo numero del suo giornale L’Uomo Qualunque, che di una cultura democratica. Si può discutere di nuovi spazi e nuovi modi di fare e imparare la politica, secondo una “numerazione” che va dal 2.0 all’infinito. Però un luogo fisico è ancora indispensabile. Come fondamentali sono le procedure per ogni tipo di scelta. Non dico certo che Virginia Raggi debba andare alle Frattocchie, per carità. Ma da lì al “non-partito” con “non-statuto” passano mille sfumature di grigio. Prima che si arrivi al nero totale.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:55