Onestà e corruzione nella politica

Ogni volta che uno scandalo sconquassa la vita italiana, salta su qualche anima bella a ricordarci un celebre pensiero espresso da Benedetto Croce in Etica e politica con riguardo all’onestà nella vita pubblica. Con parole veementi, in un giudizio drastico e caustico, Croce scrisse: “Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa della ‘onestà’ nella vita politica. L’ideale che canta nell’anima di tutti gl’imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di aeropago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio Paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti, per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana che non sia per altro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica”.

Per il grande Filosofo, dunque, “l’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo... perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere d’attività, lo renderanno improprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre, e simili”.

Croce portò l’esempio di Charles Fox, un primo ministro inglese del XVIII secolo, notando argutamente che “l’Inghilterra ben gli fece largo nella politica, quantunque i padri di famiglia con pari prudenza gli avrebbero dovuto negare le loro figliuole in ispose”. Ma poi, molto più avanti, precisò il suo pensiero e, inequivocabilmente, concluse così: “Vero è che questa disarmonia tra vita propriamente politica e la restante vita pratica non può spingersi tropp’oltre, perché, se non altro, la cattiva reputazione, prodotta dalla seconda, rioperando sulla prima, le frappone poi ostacoli... e si tenga per falso a priori ogni dissidio che si creda di scorgere tra la politica e la morale, giacché la vita politica o prepara la morale o è essa stessa strumento e forma di vita morale, e in nessuno dei due casi è concepibile contrasto e conflitto”.

Propriamente in queste due ultime sentenze è racchiuso il vero pensiero di Croce sull’onestà in politica e della politica. Non è un caso che tali sentenze non vengano mai citate. Infatti la citazione sugli “imbecilli” serve a queste anime belle a sfoggiare una cultura che non hanno e a storpiare un pensiero che sconoscono e a mutilarlo per dimostrare infondate opinioni appoggiandole su un passo doppiamente falsificato: perché adattato ad uso proprio e perché riferito ad un uomo celebre anche per il personale rigore morale. Insomma, si servono dell’autorità di Croce per avallare una sorta di giustificazionismo (negazionismo?) della corruzione politica, anche in barba all’articolo 54 della Costituzione che impone (impone!) di adempiere le funzioni pubbliche “con disciplina ed onore”.

L’occasionale invettiva contro “gl’imbecilli” non costituisce, perciò, lo specchio fedele delle idee del Filosofo sui rapporti tra etica e politica, che stanno al cuore stesso della filosofia fin dalle origini. In una mia conferenza del 2009 al Cidas di Torino, al tema affidatomi: “Il degradato mestiere del politico” (Nuova Storia Contemporanea, n.1/2010, pag. 5) aggiunsi il sottotitolo “Il camaleonte italiano”, una colorita espressione che a mio parere ben definisce, concisamente, il fenomeno della corruzione in Italia. Il politico italiano è un camaleonte perfettamente mimetizzato nella società, della quale assume i colori. Il politico-camaleonte appare ed è come l’habitat in cui vive. Cambia colore col mutare delle condizioni ambientali. Aspettarsi che sia bianco candido in una selva nera, è irrealistico. Salvo casi eccezionali, deve esistere sicuramente una rete di connivenze che lega i politici, incappati nelle maglie della giustizia o in odore di disonestà, con i politici che spudoratamente li candidano, sostengono, fanno eleggere, e con gli elettori che li votano, scegliendoli o facendoseli scegliere. L’onestà politica è la faccia pubblica dell’etica privata.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03