
Un aforisma, un commento - “Come è noto, gli psicologi devono, periodicamente, allontanarsi per sottoporsi essi stessi ad analisi psicologiche. Nel frattempo, i loro pazienti non possono fare altro che comportarsi normalmente”.
Le cose non sembrano stare diversamente in politica. Il caso della Spagna, che nell’ultimo anno è rimasta senza Governo, o con un Governo abilitato unicamente a sbrigare gli affari correnti, dovrebbe essere studiato più a fondo di quanto si possa fare con una semplice battuta. Fondamentalmente l’esperienza della Spagna, che cresce più di noi e vede uno spread muoversi in su e in giù come il nostro, ma a livelli più bassi, dimostra una verità troppo spesso trascurata, ossia che la crescita economica non la fa il Governo ma la società, cioè tutti noi a cominciare dagli imprenditori.
Un Governo può fare molto per frenare o persino per bloccare un sistema economico ma è in grado di fare ben poco per stimolarne lo sviluppo. A parità di altri fattori, un Governo può aiutare ad accrescere gli investimenti privati solo attraverso un’unica sicura terapia che consiste nell’abbassamento del livello di imposizione fiscale. Gli altri fattori, tuttavia, in Italia consistono in quella enorme marea di vincoli di legge, di pratiche ispettive, di norme, certificazioni e regolamenti, anche di provenienza europea, che Guido Carli negli anni Sessanta e nei primi Settanta, definiva, nel loro insieme, i lacci e i lacciuoli che impedivano la modernizzazione e lo sviluppo della nostra economia.
Dunque, anche sotto questo profilo, il meglio che un Governo potrebbe fare sarebbe una drastica eliminazione di tutto ciò che fa della nostra burocrazia un fardello elefantiaco che costa ma non rende, che soffoca senza liberare energia. Un Governo del genere dovrebbe evitare di fissare obiettivi e istituire progetti di lungo termine la cui realizzazione dipendesse - e ciò riguarda praticamente il novanta per cento delle cose - dalla ricchezza privata prodotta dal Paese. Di Governi che fanno i conti senza l’oste, cioè senza capire di cosa ha davvero bisogno chi intende intraprendere una attività economica, abbiamo già avuto esperienza pluridecennale senza essere riusciti a ridare vigore al fenomeno del boom di mezzo secolo fa. Purtroppo, nei decenni successivi a quella felice stagione, si è fatta largo un’intrapresa economica sempre più legata ai rapporti d’affari con gli enti pubblici e sempre meno attenta al mercato e dunque all’innovazione, e ciò per la semplice ragione che nel primo caso il rischio era nullo mentre era elevato, e crescente, nel secondo.
La triste conclusione è che oggi, in Italia, manca del tutto una vera e diffusa filosofia imprenditoriale e i settori nei quali in qualche modo sussiste soffrono per la troppo piccola dimensione delle aziende e per non aver imparato per tempo a sopravvivere nel vero mercato nazionale ma soprattutto internazionale.
Nessuno può dire, oggi, quanta imprenditorialità potenziale vi sia, in Italia, sotto la cenere delle varie crisi che si sono susseguite dagli anni Settanta e sotto l’effetto narcotizzante dei mille interventi dello Stato in ogni ambito economico. Se dovessimo assumere, come indicatore, le posizioni delle varie associazioni di produttori, commercianti e dei servizi noteremmo che sono sempre e solo lunghi elenchi di richieste al Governo, cosa che li accomuna a qualsiasi altra categoria sociale nel guardare all’Esecutivo come se fosse lui a dover generare successo, benessere e felicità. Le nuove generazioni di possibili imprenditori, se ci sono, dovrebbero battere un colpo pretendendo che lo Stato si occupi di educazione e di giustizia, di infrastrutture e di difesa ma, per carità, la smetta di “regolare” un sistema economico che ha invece bisogno di maggiore libertà e non di ulteriori divieti e autorizzazioni, balzelli e controlli e prediche morali. Solo così potremmo verificare se e quanta voglia di impresa c’è in Italia e quanta ricchezza reale, di conseguenza, ci spetta.
Il grigio ritualismo dell’insediamento del nuovo Governo, tutto sommato, potrebbe far ben sperare perché esso si presenta effettivamente come una copia del precedente, ma una copia sbiadita, senza alcuno slancio e senza alcun programma di cose da fare. Speriamo dunque che si occupi di immigrazione e di scuola, di terremoti, di politica estera e di affari correnti, ma senza grandi “disegni” economici. Spagna docet.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:16