
Tornano, eccome se tornano! Renzi come il Riccardo III di Shakespeare che invece del famoso “cavallo” implora un “Sì” da noi? E perché glielo dovremmo dare, di grazia? Per aprirci le porte degli Inferi? Visto che ci tiene così tanto il nostro presidentissimo, esaminiamola un po’ da vicino questa sua (malvagia) creatura. Il che mi dà modo di mantenere (certo, solo in piccola parte!) una promessa che avevo fatto tempo fa ai nostri lettori. Il nuovo articolo 55 ci dice (nebulosamente, per la verità) cosa farà il nuovo Senato, che è vivo e vegeto, come vedete. In particolare, “Valuta l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori”. Bene: e dopo che ha valutato, che cosa succede? Legifera? Avvia un disegno di legge? Mistero.
Ancora: “La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti”. In considerazione delle crisi a ripetizione a livello locale si rischia, pertanto, un considerevole turn-over negli scranni senatoriali, con maggioranze che vanno e vengono in un arco di tempo imprevedibile!
Sentite poi questa chicca che ci regala il nuovo articolo 71: “Il Senato della Repubblica può, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere alla Camera dei deputati di procedere all’esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati procede all’esame e si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato della Repubblica”. Sarò certamente un ignorante, ma mi chiedo che prosa sia mai questa! Che cosa esamina la Camera? La richiesta del Senato? E su che cosa si pronuncia? Se autorizzarlo o no a procedere all’esame? Avete letto l’originale della Costituzione del 1948? Essenziale, chiara e diretta. Tutto il contrario della Renzi-Boschi, non trovate? Il suddetto articolo, poi, regola la presentazione delle leggi d’iniziativa popolare: serviranno centocinquantamila firme, pari a tre volte quelle attuali ma, in compenso, “la discussione e la deliberazione conclusiva sulle proposte di legge d’iniziativa popolare sono garantite nei tempi, nelle forme e nei limiti stabiliti dai regolamenti parlamentari”. Ma non bastava specificare costituzionalmente la tempistica, in modo da non lasciarla alla discrezione dei partiti?
Inoltre: “Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione”. Eccolo qui, di nuovo, il “monstrum” dei tempi biblici delle leggi di attuazione! Ce ne sono alcune, di fondamentale importanza, previste dalla Costituzione vigente (come quelle sulla regolazione di partiti e sindacati) che non sono mai state emanate dopo quasi settant’anni! Per innovare, bastava: a) dare termini certi (che so, diciotto mesi massimo dall’entrata in vigore della nuova Costituzione) per l’approvazione delle norme di attuazione e delle leggi costituzionali, in particolare; b) sanzionare il Parlamento inadempiente assoggettandolo a scioglimento, per grave violazione degli obblighi costituzionali.
Vediamo ancora un altro capolavoro, quello dell’articolo 72: “Il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione”. E bravi, Renzi-Boschi! La supposta “essenzialità” in che cosa consiste? L’ha sancita l’elettore, così come chiaramente specificata nel programma sostenuto dalla maggioranza risultata vincente? A quale arbitrio, soprattutto d’influenza sovranazionale, tutto ciò potrebbe dare luogo?
Altra perla all’articolo 73: “Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale (e perché solo queste? Perché non anche, e soprattutto, quelle che dettano regole per l’esercizio dei diritti costituzionalmente tutelati? ndr), su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o da almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni dall’approvazione della legge, prima dei quali la legge non può essere promulgata. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge. In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata. Se la Camera dei deputati, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, ne dichiara l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito”. Quindi: la Camera la promulga malgrado sappia che la Corte l’ha ritenuta illegittima. Ciò significa che, comunque, la legge avrà vita brevissima: alla prima impugnazione, il giudice ordinario adirà la Corte che replicherà semplicemente il suo giudizio preventivo di illegittimità. Qualcuno mi spiega la ratio?
Concludo con la lettera m del nuovo articolo 117 che disciplina le competenze dello Stato e delle Regioni. “Determinazione (da parte dello Stato) dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare [...] Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”.
Benissimo: lo Stato fissa i costi-standard a livello nazionale e, quindi, si suppone che dia i soldi in base alle prestazioni effettivamente rese. Ciò significa che non si recide il cancro delle migliaia di centri di spesa di Asl regionali, partecipate degli Enti locali, municipalizzate, ecc.. Pertanto, non si procede ad alcuna vera riduzione della burocrazia ma, semmai, si creano ulteriori livelli intermedi e un mare di contenziosi che daranno lavoro ai Tar e agli studi legali, con ritardi sistemici per le prestazioni sanitarie ai cittadini. Complimenti a tutti i neo padri costituenti! Io voto “No”. E voi?
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:20