Ma quale reincarico

Pensare che Matteo Renzi se la possa scampare liscia in caso di sconfitta al referendum, ottenendo il reincarico, in ragione della sua maggioranza parlamentare, è proprio tutto, ma tutto da vedere. Immaginare, infatti, che uno scivolone, soprattutto se di proporzioni nette, non provochi alcun sommovimento all’interno del Partito Democratico, è piuttosto semplicistico e fuorviante. Non è un caso che da giorni si susseguano i rumors parlamentari intorno a personaggi di governo pronti a far valere le ragioni di un fallimento, il cui peso inevitabilmente e colpevolmente ricadrebbe tutto sul Premier.

Del resto Renzi, in questa sua scriteriata e tracotante corsa alla personalizzazione, non ha mancato segnatamente di provocare e mortificare a tutto campo la minoranza interna al Pd schierata per il “No”. Ecco perché credere che nulla cambi negli equilibri che tengono in piedi l’esecutivo, dopo una lotta senza esclusione di colpi, portata avanti dal Premier contro i dissidenti, sembra difficile se non impossibile. Come se non bastasse, il Capo dello Stato non potrà non tenere in conto la reazione del fronte del “No”, qualora nonostante la sconfitta riproponesse Renzi a Palazzo Chigi. È, infatti, plausibile immaginare che per i milioni e milioni d’italiani, che insieme alla riforma avrebbero inequivocabilmente bocciato anche il Premier, ritrovarselo a capo dell’esecutivo suonerebbe come il peggiore degli affronti. Per questo Sergio Mattarella prima di reincaricare Renzi dovrà valutare non solo i numeri parlamentari, ma soprattutto quelli referendari che, ovviamente, avranno un significato politico chiaro.

Ecco perché se vincesse il “No”, come è auspicabile, la partita di Renzi sarebbe più che in salita, da parete dolomitica. Nel Pd, con tutta probabilità, si porrebbe subito il nodo del doppio incarico di Segretario e Premier e in questo caso di fronte a un muro contro muro i numeri di Renzi alla Camera, ma specialmente al Senato, cambierebbero pericolosamente. Non solo, ma dentro il Partito Democratico un vasto gruppo di cosiddetti “neutrali allineati”, non aspetterebbe altro per far salire il proprio peso istituzionale, che la vittoria del “No” gli offrirebbe su un piatto d’oro. Tra tutti, dietro le quinte, il più movimentista è il ministro Dario Franceschini che, guarda caso, gode anche di un rapporto personale, forte e antico con il Presidente Mattarella. Del resto, escludendo lo scioglimento delle Camere, un nuovo esecutivo dovrebbe necessariamente godere di una maggioranza politica più larga dell’ attuale, sia per riscrivere la legge elettorale e sia per portare il Paese al voto.

Franceschini meglio di Renzi sa mediare con l’opposizione, meglio di Renzi sa muoversi in parlamento e dentro il Pd, meglio di Renzi tranquillizzerebbe i vincitori del referendum. Insomma, in caso di sconfitta per l’attuale Premier si aprirebbe se non proprio un inferno un difficile, inevitabile, lungo e per molti “colleghi” meritato purgatorio.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:18