
La penna di Massimo Franco sul Corriere della Sera ci ricorda il crescente stato di fibrillazione in cui sono piombate le cancellerie europee, le ambasciate ed i governi del Vecchio Continente in vista del referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Con l’immancabile moderazione e l’onnipresente circospezione che lo contraddistingue, l’autore ci racconta in terza persona plurale, evitando spesso nomi e cognomi, l’umore dei potenti d’Europa. Tra un “ritengono” ed un “temono”, tra un “si accorgono” ed un “si chiedono”, questi ignoti burocrati avrebbero paura del “populismo dall’alto” renziano ed auspicherebbero un Presidente del Consiglio meno euroscettico e molto meno conflittuale con le istituzione europee. Molti dei burocrati europei, probabilmente stimolati dall’Economist, sarebbero anche d’accordo su un governo tecnico nel dopo-Renzi. Tutti sono favorevoli alla riforma Renzi-Boschi. Un motivo in più, quindi, per votare “No”.
Comunque, qualunque siano le volontà ed i desideri delle cancellerie e delle ambasciate d’Europa, la riforma costituzionale dovrà essere fermata con il voto popolare e la ricetta dell’Economist rimandata al mittente. Basta con i governi tecnici. Il dopo Renzi dovrà essere comunque politico. La politica deve essere centrale nella vita del Paese.
Il problema dell’Europa rimane l’Europa, le sue fondamenta, la sua organizzazione, i suoi processi, i suoi trattati. Qualcuno dovrà spiegarlo alla classe politica del Continente, ma dubito che capacità e volontà siano disponibili per guardare in faccia la realtà. Il prossimo futuro potrebbe però rivelarsi crudele ed inaspettato data la velocità dei mutamenti politici e sociali in atto. Nell’aprile del 2017 si voterà in Francia e in autunno dello stesso anno in Germania. Se dovesse vincere, come auspichiamo, il “No” al referendum del 4 dicembre potrebbe cadere Renzi e ci sarebbe la seria possibilità di andare al voto anche in Italia. Il futuro dell’Europa euro-centrica potrebbe allora decidersi in questi tre appuntamenti. L’avversione a questa Europa è in aumento, le motivazioni sono sicuramente condivisibili. Sono le ricette “sovraniste” ad essere errate. Usiamo la possibile vittoria nel “No” per cambiare marcia in Europa. La classe dirigente europea non si rende conto che i populismi in crescita nei diversi Stati dell’Unione sono la reazione ad una mancanza politica e democratica che blocca l’integrazione ed il bene comune e la costringe ad appoggiare le politiche dell’economia trainante. La politica comunitaria viene fatta ostaggio del benessere dell’economia di alcuni Stati europei a discapito di tanti altri. Il populismo è l’effetto, non la causa dei mali dell’Unione. La causa è nel come l’Europa è stata concepita. Il peccato, in questo caso, è originale.
È evidente, allora, che la strada dinanzi a noi è obbligata se vogliamo evitare la totale implosione dell’idea di Europa ed un ritorno pericoloso alle sovranità nazionali, sopratutto in un mondo globalizzato, sempre più multipolare. Il nostro obiettivo deve essere quello di volere e di lavorare ad una Europa politica, democratica, che abbia piena autonomia nei processi politici interni ed esterni. Da subito. L’Europa può avere un suo ruolo nello scacchiere geopolitico mondiale, ma non può esserlo se non diventa una Unione politica e democratica che avvii un proceso virtuoso di condivisione partecipata dell’idea di Europa. Non una fusione a freddo di nomenklature, di burocrazie, di mercati e di monete ma una condivisione di idee, di valori, di speranze, di progetti. Una condivisione del futuro. L’Europa può e deve essere soggetto mediatore tra altri di diversa natura e cultura. L’Europa deve assumere un suo ruolo guida e, in piena autonomia, staccarsi dal cordone ombelicale del cieco atlantismo ed avvicinarsi all’Unione Economica Euroasiatica, ai Brics, focalizzandosi su un suo ruolo di mediazione tra colossi e, nello stesso tempo, di valorizzazione dei processi economici e politici utili alle cittadinanze.
Tra una Europa ingessata e burocrate ed una prospettiva sovranista, abbiamo la via dell’Unione politica per sbloccare la prima e sconguirare la seconda. Il “No” al referendum costituzionale può spianare questa via.
(*) Segretario nazionale di Convergenza Socialista
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:55